lunedì 8 settembre 2008

La mia posta: la nutria tuffatrice

Ho pensato che una lettera ricevuta qualche giorno fa meritasse di entrare, almeno in parte, in questa sorta di taccuino di viaggo, perché certi incontri lungo la mia strada ho imparato a riconoscerli, e so che comunuqe vada, anche se sporadici, e in qualunque forma essi si manifesteranno ancora, non mi lasceranno senza traccia.
La forma qui è veloce, ma di sostanza.

"... pensa che l'altro giorno una ragazza mi ha detto che la canzone che mi rappresenta è Bullet dei Tunng, e io l'ho trovata sul tuo blog mai sentita prima... Non so spiegarti, ma se bisogna essere fedeli alla poesia che è anima e interiorità, secondo me, non si può stare fuori dal flusso dal fiume, certo, è meglio finire nel lato delle oche migratrici con i loro racconti di viaggio, piuttosto che dal lato dei topi che vivono di avanzi, anche se qui, a Milano, sono stato mezzora ad osservare una nutria che nuotava nel canale detto Vettabbia, lei, la nutria, si tuffava, scendeva sul fondo contro corrente, per cercare di intercettare un po' di cibo. Tutto questo avveniva nel mezzo del traffico e del casino e lei silenziosa ignota nuotatrice in un acqua incredibilmente trasparente sotto un cielo nero di notte. Beh, questa vita parallela capisco perché ha ispirato tanti disegnatori di fumetti, ed e' davvero romantico e decadente conoscere una nutria tuffatrice in una sera d'inverno.
scusa la lunghezza..."

venerdì 5 settembre 2008

Mi chiedevo dove fossero... Ok! Dove sono?

Un giorno Abdallah mi chiese quanti amici extracomunitari avessi e più che la mia risposta, "Solo te", ricordo che rimasi perplesso di me stesso per non essermi mai posto quella domanda. Eppure non mancano gli extracomunitari nella nostra provincia, ma, come accadono certi incontri, è difficile dirlo.
Ricordo che il discorso volò sulla nostra prima volta, assurda volta che non riporterò perché se in vita vostra avete visto film come "Il colore viola", o non avete ancora smaltito l’odio imprigionato in "Missisipi burning", sarei forse scontato. Vi basti sapere che il tutto si svolse in faccia a chi scrive, tra casa mia e casa sua ed era la realtà. Magari un giorno il mio amico ve lo racconterà, oppure io stesso, ma sarà una storia da non crederci. Piuttosto fidatevi di altro, di quando scrostavo con lo spazzolino impastatrici alle sei del sabato mattina e conobbi l’algerino Mustafà. Il classico gigante delle favole che agli stupidi pare stupido, ma ha solo un cuore grande come le spalle dove sopporta anche il peggio. Il resto della settimana asfaltava strade e con i pochi denti rimasti rovinati dal catrame stringeva una sigaretta dopo l’altra. Sorridendo mi proponeva di tornare con lui in Algeria, perché sognava il suo paese e ci sarebbe tornato con i soldi per piantare un piccolo commercio. Era un uomo come tanti. Amava sua moglie, impazziva d’orgoglio per il figlio e non così tanto per Allah. Si consumava qui per sistemare lì, un giorno, suo figlio. Qualche anno dopo lo ritrovo a bivaccare la vigilia di Natale fuori un bar tabacchi gestito da cinesi, pare non chiudano mai. Mi abbraccia, il nostro incontro gli smuove qualcosa in gola, nei polmoni, agitato tossisce un po’ di imbarazzo e morte e dice che forse quello era l’anno buono per ripartire e mi lascia un numero di telefono. L’Algeria è vicina, suggerisce. Vieni da me… E io non l’ho mai chiamato e chissà poi dove avrò messo quel pezzo di carta con il numero. In fondo, per me, non è stato nient’altro che uno straniero di passaggio in cerca di fortuna come altri più coraggiosi e molto diversi da me. Poteva essere mio padre per la generosità che si portava dentro, ma mi sono sempre giustificato così, troppo diverso da me. Per pigrizia. Paura recondita di quel che non è nel cerchio del ‘noi’ e, se non ci stai attento, invecchi che si restringe fino a soffocarti. Abitudine. Ai volti slavati che dicono le stesse frasi del giorno prima e non si rischia così di andar oltre quel poco che già si sa; certo, il lavoro, i soldi, la macchina a rate, ma come corre! Raramente il mutuo della casa che è impossibile, o stanca, anche sognarlo, il più delle volte il problema è una gonna maledettamente puttana solo perché non si alza facilmente, e se un ‘drink’ ti costa un’ora di lavoro è comunque un affare. Soddisfatto, almeno il ghiaccio era fresco, stringi la mano all’oste che ricambia con quel sorriso che dovrebbe farti dubitare su quanto sei imbecille. Assuefazione a domande del tipo: "Quel posto... Hai presente? C’è bella gente!", e definissero una buona volta "bella gente". Dipendenza dall’aperitivo di sempre, perfino al vino rancido di certe osterie che non ci fai più caso e brindi lo stesso alla quotidianità che spacca il minuto, spesso vuoto quando vedi il fondo del bicchiere, e che non basterebbe una bottiglia a riempirlo, fortuna che sei in mezzo alla gente, a tanta gente, che magari conosci soltanto due o tre dei soliti accampati in strada, ma che importa. Ci sei e il numero conta, se ti senti in perfetto tutt’uno col tuo mondo. Altri saranno sospettati di saluti di plastica eppure ricambi lo stesso, con altra plastica, altra spazzatura che sedimenta. Ma sei tranquillo. C’è un ordine lì nel mezzo al caos delle chiacchiere, un solo colore che è una garanzia di pulito e comprensibile, afferrabile, che ti par di conoscere tutti, anche se stai spasmodicamente cercando da un po’ d’incrociare un paio d’occhi noti, nella massa, per non far la magra figura da palo del tuo amico. E’ comunque la tua gente e questo ti rassicura anche se magari vorresti essere da un’altra parte e non solo per via della noia. Resti. Ipocrita.
Qui davvero non ha più senso Destra, non ha più senso Sinistra. Ci basta essere 'fashion' anche in politica, e non servono altro che i vestiti giusti. Siamo soltanto piccoli, ben inteso, nel nostro piccolo. Perché basterebbe guardarsi intorno e chiedersi dove siano nascoste le centinaia, migliaia, di extracomunitari di cui pure taluni vantano l’integrazione con una fascia tricolore stesa dalla pancia meglio che da una tromba di vento. Dove sono? Mustafà, dove ti sei cacciato? I poverini, gli sfigatini del sud del mondo e tutti e solo una categoria di ‘ini’ da compatire e salvare incondizionatamente, purché non escano della televisione, dal Tg e se ne occupi la polizia. Oppure, non fossero terroristi e galleggiassero nei pressi di Lampedusa, sono clandestini da rispedire al mittente, per non tenerci in casa altri occhi biechi che scruteranno il momento buono per derubarci e vanno sorvegliati a vista, sono quelli che attendono per ore, nelle stazioni, l’arrivo di oggetti già sospettati di non esser bene identificati.
Forse avrei dovuto scrivere delle circostanze hollywoodiane in cui conobbi Abballah, ma non siamo diventati famosi e lasciamo perdere. Probabilmente avreste pensato al mio amico come ad un poverino d’extracomunitario. Non farebbe per lui. Lui è buono, cattivo, poverino come tutti noi.
Soltanto, mentre bivaccate con il bicchiere in mano, a portata di bancone, dovreste chiedervi: dove sono loro? Perché non sono qui? Altrimenti ogni politica sarà salotto, chiacchiere per tergiversare sull’unica domanda che darebbe un senso all’integrazione, e fingiamo non sia una domanda, semplicemente non ponendola a noi stessi.

giovedì 4 settembre 2008

Temporale estivo

Dice:
Sai che stasera ti ho sognato?
E’ la prima volta che ho il piacere di averti in un sogno...
Forse non ce la facciamo a parlare sta volta.
Beh, in caso ti ho parlato stanotte, diciamo...
Ci tenevo a parlarti perché è possibile che domani parta per la Giordania
e chissà quando ci risentiamo.
Volevo raccontarti cose, aggiornarti...
Vabbé xxx mio, sarà per un' altra volta
Sai che tra due settimane sarò fra te tue braccia, fra la tua carne?
Ti stringo forte forte e ti faccio tante coccole...
Voglio che tu sia felice e sereno con me!
ciao xxx


Alcune persone si lasciano scoprire anche così, con una frase senza molte parole, senza coprirti di melassa: "Voglio che tu sia felice e sereno con me".
Parlano e ti lasciano scoperto della tua faccia che non nascondeva nulla. Parlano che ti pare tolgano il tappo ad una diga che non fa paura perché sta volta è resistente, e ti senti fortunato a toccarne la corazza sapendo con certezza che poco oltre, pochi centimetri dalla tua mano, esistono profondità colorate che potrai esplorare con calma e ben accettato.
Non ho fatto a tempo a rispondere. Anche se forse è stato un caso giusto così. L’impressione di un 'post it' appeso al frigo. Un bacio al mattino di qualcuno che è partito lontano, presto ma per un istante, dalla quotidianità.
Il gatto dal divano quasi a pancia in su mi guarda un’ultima volta e poi dorme. Mi sono acceso una sigaretta, mentre qualche goccia di temporale estivo prendeva a picchiettaare sulla mia testa.

martedì 12 agosto 2008

Certa politica si commenta da sola

Neanche fossimo in Angola" - scrive Famiglia Cristiana a proposito dei militari in strada - e prosegue: "La verità è che 'il Paese da marciapiede' i segni del disagio li offre (e in abbondanza) da tempo, ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l'attenzione con le immagini del 'Presidente spazzino', l'inutile 'gioco dei soldatini' nelle città, i finti problemi di sicurezza, la lotta al fannullone
E' troppo chiedere al governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?"

Bertolini, componente del direttivo del Pdl alla Camera dei deputati: "Il colpo di calore ha fatto la propria vittima anche quest'anno. Questa volta a farne le spese Famiglia Cristiana che, con incomprensibile livore, non esita a lanciarsi in una serie di invettive contro il governo del centrodestra"

Gianfranco Rotondi : "Usino un linguaggio cristiano, se non democristiano"

Gasparri: "Quella che evidentemente manca a chi, dirigendo una testata un tempo(l'altro ieri?) così autorevole, dovrebbe avere più rispetto per il prossimo, soprattutto per chi in Italia e ovunque difende anche in politica i valori cattolici. Posso testimoniare che il colpo di sole di agosto forse ha colpito chi invece di dirigere il giornale va per spiagge, siccome sono le stesse che frequento io. Confesso che stando all'ombra ho assistito all'insolazione di chi ha fatto ormai della provocazione uno stile giornalistico. Con buona pace di certo criptocomunismo, continuerò a battermi per i diritti umani e religiosi in Cina, lasciando ad altri le offese agli anticomunisti e il servilismo verso i regimi comunisti. Mi astengo da altri giudizi morali che non mi competono".

Ma... ma... Gasparri...dico, lui... Ok! Mi astengo da altri giudizi che non mi competono non essendo né cattolico né comunista, né criptoqualcosa.

Questi tre si sono commentati da soli. Si leggessero, si ascoltassero. Forse non ci crederebbero nemmeno loro.

lunedì 11 agosto 2008

Arabìa 2

L sta imparando a conoscere le loro abitudini e stanca, dopo una giornata di deserto, s'è addormentata distesa sopra una tappeto nel cortile di uno di quei beduini che l'accompagnano nel viaggio. Indietro nel tempo almeno di un'ora, mentre L sogna con un turbante azzurrino ora fatto cuscino, la mia avventura, non certo priva di rischi, è vuotare nell’olio bollente entro mezz’ora un sacco di patate surgelate appeso dondolante ad un ramo di ciliegio, piantato, come fosse nulla, a qualche migliaio di chilometri di distanza dal primo pezzo di terra desertificato come si conviene.
Ieri sera ero a cena in giardino con dei cugini e i miei vecchi fino all’una di notte e passa, con uno zampirone acceso sotto il sedere perchè qui, oramai, si sopravvive o noi grandi e grossi o loro, le tigri da microscopio. Una di quelle serate facili perché se ci giocavi da piccolo e poco oltre con i miei parenti, anche se ti vedi due volte l’anno, se n’è combinate così tante in passato che ogni imbarazzo sarebbe pura invenzione per il gusto di farci incazzare. Di tanto in tanto sono confluito in una storia strampalata. Ho ascoltato quella dei gatti canterini. Quella del presidente della Fondazione Cassamarca che a sentir quella vecchia zitella del cugino di mia madre, una volta per dessert si fece portare un intero panettone caldo solo per lui. Un uomo col cervello nella pancia e tutto perché al tempo della Dc si usava piazzare uno qualunque pur di piantare la proprio bandiera lassù in cima, ma soprattutto si usava piazzare qualcuno e questo, anche oggi, fa discutere a tavola.
Di tanto in tanto perdevo il filo cercando di ricordarmi anche il profumo di quei riccioli neri che in vita mia forse ho veduto solo grazie ad L, ora presi, laggiù, nelle complicate evoluzioni di un turbante. Respiravo, tanto per non ammazzarmi di zampirone, per digerire i veleni di una giornata qualunque, ma qualunque in un passato remoto che ricordo fin troppo bene per inalarne ancora. Sono ritornato fino alla nostra prima volta, con L, come in cerca di ossigeno, la prima volta della mia mano tra i suoi capelli freschi d’erba e pure meditavo per venirne a capo sulle funzionalità di un tappeto nel mezzo del giardino di un beduino.
Mi sono risintonizzato nel circuito delle chiacchiere proprio quando la vecchia zitella raccontava di quella volta, la migliore della serata, che accompagnò un suo amico, macellaio di Treviso, nell’ardita missione che richiese tutte le sue abilità di ex assessore democristiano per convincere le molte guardie del Papa, in vacanza a Lorenzago, poco inclini a credere che loro effettivamente erano lì, e dovevano passare, per consegnare delle speciali bistecche di manzo a sua Santità. Chissà poi perché un macellaio di Treviso dovrebbe scalarsi una montagna per consegnare delle bistecche, ma nemmeno il nostro ex onorevole sapeva risolverci questo dubbio e il macellaio probabilmente già dormiva. Che poi se una storia è divertente chi se ne frega dei dubbi e comunque arriva un messaggio di L, nel cellulare perso tra le bottiglie di cabernét, in cui dice che se io non fossi quello che sono non avrebbe motivo di aspettare due mesi, rimaner fedele, né di desiderare solo me. Beh, postilla pure con una preghiera in cui mi implora di non buttar su pancia oltre la misura con la quale mi ha abbracciato l’ultima, vista la mia età, e di non impegnarmi troppo con la masturbazione...ma tant’è, ché ti vien da pensare che certi fatti non accadano mai per caso, o comunque vada, sono dei piccoli segnali da tener d’occhio.
Se io non fossi quello che sono mi chiedo cosa cambierebbe. In questi anni se una cosa ho capito è che il più delle volte le persone vedono in te quello che vogliono e magari non vedono in te quello che dovrebbero, il tuo punto forte, vero, che le legherebbe a te per sempre. Una donna potrebbe innamorarsi di te nello stesso istante in cui qualcun'altra ti considera pazzo, stronzo ecc ecc... due estremi in cui mi ritrovo nel mezzo con la mia verità. Beh, tra altre due verità, ovvio.

lunedì 21 luglio 2008

Arabìa

La sera del grande D...
Facciamo che non sia sabbia del deserto che scivola tra le mani dopo tanto attraversare. Fermati qui con me, poi parti. Devi, lo so... Porta con te un po' di quella sabbia se vorrai, laggiù ne troverai dell'altra, ma non avrà altrettanta storia del sole e delle notti che sgretolano pensieri e spogliano l'anima, come questa. Lì, ancora lontana, il vento ricostruisce sempre qui e là, ma nulla regge che il tempo di un sogno.
Anche se io scherzo, anche se tu scherzi. Chissà cosa saremo oppure no. Gli uomini non sono sabbia come molti dei loro pensieri.

Io l'arabo

Mi chiama per chiedermi se gli scrivo un pezzo molto breve da tradurre poi anche in arabo per il suo libro. Ho facoltà di liberare il cervello in poche righe, dice. Poche righe in calce ad un romanzo di cui non conosco molto la trama e che comunque leggerò solo a stampa conclusa, ormai manca poco, ma conoscendolo non sarà una guida pratica del buon terrorista.
Con tutta la gente che conosce sono contento abbia chiamato anche me. Come quando l'amicizia ha un valore e le parole pure anche se molti chilometri ci dividono e il tempo che spesso manca.
Un libro non è una salvietta dove scrivi l'istante. Resta. Farvi partecipare qualcun altro è un bel gesto di cui non puoi pentirti.
Ho tempo fino a venerdì per non farlo pentire.
Si lavorerà di sintesi.

mercoledì 16 luglio 2008

Uno fra i tanti

Sono come la Rai d'estate, vanno tutti in vacanza col cervello e manda sugli schermi vecchi filmati a ripetizione, e io pesco dall'archivio.
La differenza è che a me nessuno paga il canone, anche se ho qualcosa di molto simile ad uno schermo su cui proiettare ciò che mi passsa per la testa. Sono tutt'altro che in vacanza e credo che i vecchi filmati sia meglio buttarli fuori dopo, quando col tempo hanno perso quel senso che ti torce lo stomaco mentre li sceneggi nella tua testa. I luoghi sono nient'altro che immagini da documentario, i vestiti ti sembrano passati di moda e rimane forse quella nostalgia per quando il mondo era diverso e c'eri pure tu. Si arriva sempre al momento in cui dici che sì, sono proprio io quello, com'ero buffo con quella faccia da ebete e perché poi... ma ora vado in vacanza, ora sono da qualche altra parte per sempre.
Il grande D ha deciso spesso per me, ora io provo a decidere per lui, e me.




Sul letto uno sbadiglio di cielo
ostinato esplode la finestra
e trascende in fessure e annienta
quel poco rimasto
d’un antico orgoglio
verde, secco, di splendido
scrostato decadimento
infisso contro
alle fatiche di fuori.
Tardi ho incontrato il sonno
e già stanco, annoiato
mi parla il giorno.
Il torpore è una coperta d’amore
appassito nel rancore
di un fiore
che sai... non ti aspetta più
sotto al balcone
E’ cadavere gravido
di quell’odore chiuso
e flatulento
in cui t’immergi,
fesso.
Non pretende che fuggire
trascinato dal sole
rinascere riciclato all’aria
del mattino nudo e pungente
in questo ultimo scorcio d’inverno.
Ma lo stesso...
Perché schiudere quella finestra,
proprio adesso?
Assorto
in sua assenza
passante nei passanti
saresti uno, nel flusso
fra i tanti

lunedì 14 luglio 2008

Macchina randagia

Oscurità
che inghiotti
la mia macchina randagia
Hai visto?
Sono cadute
le prime foglie
secche
morte ancora
sotto i fari gialli
di questo rottame mio fratello.
Ballavo con lei un attimo fa appena
e la musica gitana
s’è spenta
come il sorriso
in un saluto d’addio
alle porte della sagra dell’est
e me ne son tornato al buio
pallido di poche stelle spaurite
dai lievi passi dell’alba...
Siberia che ti sei specchiata per me
in una vernice d’occhi bruni
accompagnati dal destino
Sei quella cameriera
dalla pelle di noce e oliva
con un sogno clandestino
portato in valigia
che brama un giorno regolare
quando di nuovo
il suo violino
il suo uomo intenderà
accordare
" Le cose passano per lui
come se non fossero
A volte lo invidio
E’ tranquillo!
Lo amo? "
Donne che il cuor vi guida
fin dove l’amore
accecato peregrina
Io, io v’invidio!
Non vi capisco
e ho fede in voi
come per un tempio
sacro di maestà e delizia...
Il mio spirito incosciente
nel vostro tabernacolo vaginale
sempre ripongo


(Era stata una lunga sera volata senza ritorno fino a mattina. Mentre tornavo a casa sapevo che non ci saremmo mai più rivisti e l'ho trattenuta in qualche modo. Veniva da molto lontano e stava con il cuoco di una trattoria di paese, una di quelle che sceso il buio le scorgi appena in fondo ad un vialetto di sassi stretti da alberi e fossi. Mi raccontava del suo violino come se fosse la prima volta che un cristo l'ascoltava. Non me ne intendo granché, ma se il suo cuoco cadeva ubriaco dalla sedia io ho capito che lei non suonava solo piatti sporchi, perché nell'angolo misero di mondo sperduto in cui era cresciuta le avevano insegnato a suonare la dignità.
Ed è così che ho ballato una sera sull'erba fino a mattina)

venerdì 11 luglio 2008

Io perdigiorno che non sono altro

Il mio compare sul divano sotto la finestra, appunti in mano, fissa il soffitto. Io disegno pensieri sul muro alle sue spalle, seduto su una sedia tra il tavolo e il divano, appunti sulle ginocchia. Non serve dirlo, ciascuno rimuginando l’equazione di vattelapesca all’una di notte ormai passata.
Lo guardo e mi metto a ridere, sembriamo un po’ pazzi un po’ coglioni -Chi crederebbe che qui non basta solo sputar sangue ad ogni cazzo di esame?- dice. Ci capiamo io e il mio compare.
A chi dice che sono un perdigiorno rispondo solitamente che è vero. Perché cosa dovrei inventarmi per rispondere altro a chi non c’è dentro.
È pur vero che ho perso tempo, ma come funziona il tempo ad ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano per uno come me?
Se sputi sangue per un esame, e sputi qualche goccia anche per altro che vorresti essere ma al momento non puoi perché le tue vene portano quello, per altro che vorresti funzionasse, magari una donna con complicazioni di questo mondo.
Se sputi sangue per almeno due obbiettivi nello stesso tempo, è quasi certo che spari a salve il giorno dell’esame. Ti sei svenato comunque, ma per nulla. Molte volte è successo. Che poi, nella maggior parte dei casi non va nemmeno se l’obbiettivo è quello soltanto.
Questo era ieri. Adesso, dopo tre ore su un foglio a scrivere formule da una riga, incrociando le dita che non fosse per nulla, vado a dormire.
Voi dite pure che non faccio un cazzo. Io dormirò lo stesso.

giovedì 10 luglio 2008

La mia infanzia


L'ho trovata sul corriere. Mi ricorda sempre i misteri della mia infanzia. La campagna, gl'alberi e la notte del buio che non faceva paura. Quella casa nel fondo tra le due bocche la conosco, dietro c'è l'argine, il Piave. Nella mia infanzia c'erano anche loro, quelli che hanno il copyright sulla foto.
Ad una festa de l'Unità, appena dopo il concerto dell'89, mio zio con altri ventenni perparavano lo stand di frasche quasi dedicato ai Pink Floyd, mentre io ancora guardavo i vinili con sospetto come fossero dei dischi volanti. Aspettavo di rimaner solo, arrampicarmi sul giradischi e provare a far girare quella cosa nera che magicamente mi chiudeva gli occhi e mi portava dappertutto.
Ero piccolo, alla festà de l'Unità le signore addette al fritto mi regalavano le patatine per via dei miei capelli biondo platino e perché che caruccio che sei mangia qua... e The Wall mi spaventava. Non ci capivo nulla. Le immagini sull'album di cartone uscivano da un incubo, ma non gli resistevo.

mercoledì 9 luglio 2008

Appunti Frank H C

Ho un delirio in testa di voci che non mi lasciano chiudere occhio sta sera... Solo vorrebbero essere coperte, a tacere, da un breve racconto come messe via nella storia di un fiammella che s'andava spegnendo. Se m'ascoltate, fate come foste a casa vostra. Io parlo, butto lì due appunti e prendetevi una birra. Sono tante lattine nel frigo che ronfa un ronzio da vecchio spolmonato, tutte lì perché le avrete portate voi. Scusate se non v'aspettavo e sono finite.
Inizierei da ieri mattina in cui, pensate un po', mi sono svegliato e come d'abitudine avanzando verso il fornello per metter a bollire del caffé, rintronato accendo il cellulare per connettermi col mondo il prima possibile. Subito suona un messaggio e penso a qualche cristo gentile che mi manda il buon giorno. "Non voglio più saperne nulla di te!"... Tié! Beh, questo chiaramente era sott'inteso...
Certo non m'ha messo l'oro in bocca, però mezza risata è andata bene comunque. In fondo si trattava di una ragazzetta con cui sono uscito poche volte.
E' successo che ieri sera in un momento di pausa stizza l’ho chiamata e ancora mi chiedo perché m’abbia risposto e perché l’abbia chiamata. La piccola già nella voce rantolante esprimeva un rancore che covava dentro da molto tempo, quindi non necessariamente a causa mia. Problemi suoi. In sostanza ci tiene a mettermi in guardia che, a conoscermi, sono una tipica specie di stronzo perché non mi sono fatto sentire come voleva e, credo, cose del tipo una volta al giorno, per tranquillizzarla e assorbire le sue paranoie. Cose del tipo che già sapevo. Ne tiene parecchie in testa e veramente di inutili. L’ultima volta in tram mi chiese se tenevo il telefono acceso metti il caso che alle tre di notte le venisse di raccontarmi un brutto sogno, ed eravamo solo alla terza volta in tram insieme. "A quell’ora di solito dormo". Ci pensa un istante “Ma non lo faresti per me?"... Il punto è che mentre parlava e poco prima che buttasse giù il telefono, mi sentivo quella pesantezza che intendeva farmi capitolare in disgrazia per il solo piacere di origliarmi a soffrire. Ero a casa di amici con altri amici. Cibo, birra e un film demenziale: puttanate. In pochi secondi già pativo la mancanza delle voci dentro l’altra stanza. E poi nulla più; butta giù il telefono.
A volte le persone, quando desiderano qualcuno, forse inconsapevolmente s’arrischiano a farlo soffrire come pensando d’aver conficcato un amo in bocca al pesce e con un po’ di strattoni al filo indebolirlo per avere vita facile nel tirarlo in barca.
A volte, le persone, fanno soffrire altre persone perché quelle vogliono loro molto bene e soffrono nel veder le prime dibattersi in certa incomprensibile malinconia della vita come un pesce fuor d’acqua in cerca d’ossigeno.
Amare significa comunque o soprattutto non far necessariamente soffrire. Piombarle, mentre vorrebbero volare e magari proprio in tua compagnia. Perché tu soffri, perché tu credi di non tenerle ecc...
Che scoperta direte! Beh, no!... Già lo sapevo questo, però devi prima sgombrare la tavola dalle zozzerie della sera precedente. Devi sentirlo in vena che fluisca da solo, naturalmente…per esempio, c’è chi un giorno, un grande uomo, ha confessato d’aver incontrato spesso il male di vivere. E io vi dico che quel male non si può nascondere sotto una garza. Va curato, disinfettato, cicatrizzato. Altrimenti più passa il tempo più puzzerà di marcio e malattia. Io m’annuso e mi par di non puzzare più. E non da ieri.
I giorni scorsi sono stati qualcosa di eccezionale. Un duro colpo l’idea che possa star male la mia Charlotte a cui, per quanto non sia sembrato in questi tempi per via di quell'addio, tengo molto. Contorni aggiunti serviti vari poi hanno fatto il resto. In fin dei conti sono l'uomo radiattivo che rimane tenuto fuori dalla porta d'ospedale.
Charlotte ha pensato un giorno che mi fossi affascinato focalizzato su un lato suo triste... e questa cosa m’ha scompigliato i neuroni perché cercavo Charlotte per tutt’altro. La gioia, la forza e la passione che ci metteva nel vivere, senza sconti. Speravo, forse, ne avrebbe infusa un po’ anche a me che in quel periodo non me la passavo poi tanto bene... Perché in quella voglia di vivere, almeno in quello e scusate se è poco, eravamo d’accordo. Provare tutto e di ogni cosa fino all’essenza. Si incontrano poche donne e uomini così nella vita.
Le persone di certo non nascono per soffrire, però alcune vengono al mondo o crescono tali per sentire più di altre che magari finiscono per scrivere appunti su foglietti sparsi sognando la letteratura vera, perché dentro hanno un mondo di sentimenti loro e presi in prestito, assorbiti come spugna dall’intorno. Ma un giorno sono diventato sordo e s’è messo a fischiarmi il cervello nel silenzio della mia solitudine. Il bello è che non ero solo, ma una botta diversa presa male m’aveva assordato e rincoglionito.
Ora comprendo meglio come non ci dovremmo permettere mai con nessuno un tale comportamento. E dico a me e a voi che non si ruba l'anima agl'altri! Però quando sei nel tunnel senza luci, credetemi, non sai proprio che fare. Un tempo di luci ne vedevo davvero poche. Questione di prospettiva, adesso che mi soffermo a scriverci sopra, mentre allora era così e basta.
Mi sono distrutto, ad un certo punto, convinto che non avessi nulla da offrire, nulla che valesse la pena per altri d’essere preso da me. Capite che quest’idea chiude le mille porte che sfiori ogni giorno in un circolo vizioso e senza scampo, in cui pure quelle oltre le quali una voce invita ad entrare ti vengono sbattute in faccia. Perché in cuor tuo ti sei arreso all’assurdo pensiero che sia inutile, sterile, per entrambi: entrarvi. Senza aver nulla da dare... E' terribile questo ed era il mio problema. La perdita del senso delle cose per cui non valeva quasi nemmeno la pena di svegliarsi la mattina.
Da solo, con le mie mani, mi sono così rinchiuso in una prigione di solitudine e ho buttato via le chiavi. Arrivai al punto che non mi saziava più nulla perché nulla mi serviva più. Rifiutavo il rancio anche se non è poi tanto cattivo come dicono. Figuratevi che capire questo nel tempo trascorso non è un passo da poco. E sappiate che tuttavia sono sereno, semmai ve ne fottesse un niente; ma siete qui con le birre e questo vorrà pur dire qualcosa. Sono preoccupato, torturato, terrorizzato dal pensiero in attesa di quei referti, tutto quel che si può dire insomma, ma sereno. Magari non è il termine giusto "sereno" per intendere più forte senza rinunciare alla sana pazzia ovviamente.

"...Perché quando permettiamo alla nostra luce di risplendere,
inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza automaticamente libera gl’altri."

Non ricordo chi le disse, me le sono portate dentro per molto tempo. Nascoste le osservavo meditando cosa farne, come potessi utilizzarle, piccolo uomo che sono senza fegato.
Ho capito che la luce è diversa cosa e indipendente dalla tristezza o dalla felicità. Sono semplicemente essenze separate, non divisibili, ma distinte. Tanto che ci può esser luce nella felicità che in tristezza. Ma scoprirla, ad altri, è compito nostro. Pena, apparire spenti in modalità stand by, ma in attesa di nulla. La paura è altro dalla malattia, dal male di vivere. Semplicemente è debolezza in conseguenza del non saper più vivere tutto compreso. L’istante. Da qui fino a quando sarà...
Ammetto che sta cosa com'è partita mi rilassa. Io parlo, parlo e -Per dio!- Se non ve n'ho raccontate delle balle poi!
Voi state qui, seduti con me, e non v'importa chi diavolo sono. Siete onesti, sicuro! Perché io sono Francis Hankock Comiso, quello che al bar sta nell'angolo con una birra mezza bevuta in mano e voi non notate mai.
E non chiedetemi da dove vengo perché l'ho scordato, né quando sarei nato perché quel giorno ammazzavano il figlio del vostro Dio, la mattina e anche se pochi erano attorno a me, m'è andata bene: avevo un alibi di ferro. Nessuno poté sospettare della mia buona fede quando dissi " Sono arrivato adesso, io non c'entro".
Mal sopporto chi odia la mediocrità perché di solito c'è dentro fino al collo. Come tutti del resto.
Sono un serpente nel periodo giusto. L'importante è cambiar pelle. Tiene il meglio e prova ad amare, senza troppo odiarlo, quello che ha.

martedì 8 luglio 2008

Ad un amico lontano

Mi chiama per mettermi al corrente sullo stato della casa. Sono arrivati gli infissi e ora possono portar dentro divano e materasso. Io sono qui da qualche settimana e lui mi tiene aggiornato. Come spesso è accaduto, siamo lontanti e non si perde mai un palmo di quel filo che ci muove l'uno verso l'altro fin da ragazzi.

Per mancanza di tempo, per un certo riaffiorare spontaneo di vecchi ricordi, oggi lascio questa, scritta per un buon amico qualche anno fa.




Ad un amico lontano

In un vertiginoso terrazzo grigio
ai bordi di una campagna
sopravvissuta all'asfalto di periferia
Al caldo dei primi pomeriggi di quell’estate
all’ora d’ogni puntuale terremoto aereo
Ricordo finestre in agitazione permanente...
La scossa vibrava i mozziconi
accesi di noi due
seduti a corto di parole
a raccontare l’epilogo
del nostro primo disincanto
Nel vano tentativo d’afferrare un pretesto
per abbandonarci finalmente a guardare oltre
Al di là della balaustra
alle spalle del pensiero di tuo padre
Scrutavamo il tramonto del vecchio orizzonte
spegnere per sempre i suoi riflessi
su vetri di case accecate
socchiuse e stanche
per leggervi una sicura avventura
in un futuro assieme.
Capaci tuttavia di proiettare nella mente
quanto bastasse a rasserenare
i nostri occhi confusi
non sapendo esattamente
essi soli, dove puntare
Forse è lì che ci siamo conosciuti
In quel poggiolo ciondola ancora
quel che siamo io e te
Anche se tutto quello, allora
era quotidiana certezza
e adesso è lontano
abbandonato nel tempo
al ricordo d’un sogno remoto
E d'un tratto ti guardi attorno...
ti rendi conto d'essere piccola vela
in mezzo un mare di gente straniera
senza una mappa dei venti
a cui affidare anche pochi timori
La solitudine spenta sotto i lampioni
nei liquidi riflessi di un viottolo verso casa
placato il coito universale
in una sera qualunque, allegra
cessata la pioggia

domenica 6 luglio 2008

I giorni del grande D

sabato 5 luglio 2008

Ti racconterai

Ti sento arrivare...
strariperai
Sei fiume carsico
sei impossibile da intuire
Di sicuro mi sommergi
adesso
con la tua forza di velluto
Non immagino dove andrai
quando ritornerai
scorri
da qualche parte
intorno
ti sento vivere...
Che tu sia nel cuore della terra
un mormorio dell’aria
o giusto un tremolio dentro me
Rimango ad aspettarti
Quando rispunterai
da chissà dove
chissà quando
Ogni volta
vorrei chiederti
chi sei...
Un giorno
promettimi
ti racconterai

venerdì 4 luglio 2008

Ricordarsi un risveglio

La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.


( Di Sandro Penna. Tratta da " Croce e delizia" 1927-1957)

martedì 1 luglio 2008

Tra vicini di casa

L: se fossimo stati vicini di casa ti avrei invitato a mangiare pasta con wurstel e bottarga! ehehehhehe...
Io: se fossimo vicini di casa avrei portato il melone e la birra...
o preferisci il vino? non dire coca cola...
L: sono molto indecisa tra vino e birra.
Solitamente a tavola preferisco il vino, ma la birra rinfresca
...se fossimo vicini di casa, magari, invece di parlare di sesso avremmo...aha
E' che ho solo quella in frigo in questo momento...scherzo!
Io: Allora meglio il vino. Si, decisamente!
L: Ehggià!
...che bello flirtare! Senza che poi un niente di fisico ti salti addosso...
Io: Uhuh! Meno male che non siamo vicini di casa allora
L: Ehehe...

La libertà di espressione è il fondo. In ogni ambiente, ovvio, ma quando incontri qualcuno con cui puoi non ragionare di essere te stesso o meno, beh, sei quel che sei, birra e vino, città e campagna, metà ingegnere metà altro con fatica di tutto quanto che sentirti così ti ricorda l'idea che puoi tutto, allora dovunque ti porterà andarà bene. Fosse un solo miglio, anche l'ultimo.

Visitommi con un biglietto


Il mio bigliettino da visita secondo L.

Nome Cogonome
Possibile professione: ingegnere
Probabile passione: XXX

Penso che un giorno lo stamperò e lo darò a tutti. Sarebbe come regalare fiori in giro, anche se la gente mi guarderebbe senza capire. Ma pazienza. Non sarebbe una novità.

lunedì 30 giugno 2008

Clicca sulla seconda canzone e...vai!



Anche di queste piccole cose sono fatti gli uomini. Ripeschi una vecchia canzone, tre note, una voce, li mescoli ai ricordi e sospiri.
Oh si, John... Avevi ragione. Alcuni uomini sono fatti proprio così. Ma non sempre è prepotenza, non sempre è stupidità. Forse mai solo parole


I was dreaming of the past
And my heart was beating fast
I began to lose control
I began to lose control
I didn't mean to hurt you
I'm sorry that I made you cry
Oh no, I didn't want to hurt you
I'm just a jealous guy

I was feeling insecure
You might not love me anymore
I was shivering inside
I was shivering inside

I didn't mean to hurt you
I'm sorry that I made you cry
Oh no, I didn't want to hurt you
I'm just a jealous guy

I didn't mean to hurt you
I'm sorry that I made you cry
Oh no, I didn't want to hurt you
I'm just a jealous guy

I was trying to catch your eyes
Thought that you was trying to hide
I was swallowing my pain
I was swallowing my pain

I didn't mean to hurt you
I'm sorry that I made you cry
Oh no, I didn't want to hurt you
I'm just a jealous guy, watch out
I'm just a jealous guy, look out babe
I'm just a jealous guy

domenica 29 giugno 2008

Polvere di Partito Democratico

Esuberi Alitalia: "Quattromila tagli? Visto come stanno le cose, rischia di essere una stima troppo prudenziale", rassicura Banca Intesa.
Ora, a me potrebbe non fregare nulla, non fosse che molte famiglie si troveranno col sedere a terra e anche se non le conosco m'immagino assurde scene di stenti familiari a tavola e pazienza se è necessario tagliare. Mi dico che comunque ho visto troppi film di De Sica senior. Non fosse poi che nessuno dice: "Berlusconi, adesso le castagne dal fuoco le togli tu! Altrimenti a casa! A casa! perchè sei un gran cacciaballe opportunista."
Quanti esuberi prevedeva il piano Air France che ha mandato a monte insieme ai sindacati? Poco più della metà.
Veltroni e compagni, cacciate fuori le balle per favore. Saranno lessate ormai, diamogli aria.
Ma non possono sentirmi, penso questo, mi armo come posso per la battaglia e nella posta trovo un mail dal titolo "Per un PD unito". Potrebbe venire dall'alto come dal basso, ormai sono frantumi che piovono e cocci che nessuno raccoglie, anzi gode e calpesta, ma sta volta viene dal basso piuttosto basso, Treviso.
Lo stesso posto descritto da un servizio del Venerdì di Repubblica come il paradiso del sesso libero e spensierato. A quanto pare i falli spezzati sono all'ordine del giorno e li chiamano tra dottori, "chiodi piegati" se non ricordo male. E' il posto dove il benessere è tanto palpabile che una ragazzina chiusa nel cesso della scuola, vende mms delle sue parti intime appunto per palpare un vestito di Armani. Lo stesso luogo dove la Lega Nord impera, non divide e un motivo ci sarà. E non credo sia una questione di libertà sessuale.
Consiglierei ai dirigenti e no del mio piccolo partito locale che è giunta l'ora di votare tutti Lega per non perdere altro tempo, almeno potranno ragionare meglio sul da farsi, su cosa saremo, mentre altri fanno anche per noi, qualunque cosa facciano. E nascostamente, all'ombra di quel che penseranno suore e preti di cui pure a Treviso s'abbonda, scopare di più. Forse toccherebbero più realta nelle favole che dentro le loro discussioni personali. Nel mio piccolo m'impegnerò su questa strada come posso.
Erano Ds, si sbrindellavano con gran dispendio di sangue. Cominciavano ad esssere Ds-Margherita e le accettate non si capiva più da dove venissero. Si doveva arginare il nemico dentro e fuori casa, anche se l'obiettivo era una sola casa, non restava che sperare si sarebbero impastati del loro stesso sangue. Da Pd, a mesi dalle elezioni, non hanno ancora finito di dissasanguarsi perchè nel Pd arrivano le forze fresche, ma annusano presto l'aria che tira e diventano vecchi il giorno stesso dell'iniziazione. Così paiono sempre gli stessi a menar parole per aria. Discorsi di sempre, li sento da quando m'ero iscritto a diciott'anni e c'erano generazioni già stanche di sentirli. A mesi dalle elezioni girano letterine in cui si prega il coordinatore provinciale di essere catalizzatore delle varie anime ecc..., evitando di sparare su questo e su quello per grazia dovuta alla sua fazione. Giusto! Non fosse che circolavano nella mia posta anche prima delle elezioni, e non solo le utlime.
Mi vien da pensare che non c'è speranza. C'è qualcosa che brucia anche le intenzioni migliori quando ci iscrive a certi consessi. Dev'essere qualcosa nell'aria. Sarebbe ora di aprire davvero le finestre, signori. O andatevene qualche giorno al mare.
Un paese non può vivere in loop quello che passa su rai due. Immagini di Celentano con i capelli. Totò, genio, ma un po' morto. Little Tony, quello che cantava cuore matto, chissà come ce l'avrà adesso. Vecchio. Forse da pensionare. Senza offesa per nessuno.
Ora me ne vò a studiare, voi andate al mare.

sabato 28 giugno 2008

Una mattina all’alba

Erano le sei del mattino
che accarezzavamo l’assoluto
incompreso
dentro di noi
entrambi un po' ubriachi.
Io, triste per l'alcol
e tutto il resto...
" Perchè mi eviti? "
Distratte da un freddo sole
che ormai stava per sorgere
le mie difese mentali
erano crollate molto tempo prima
Ho sbandato quando toglieva il velo alle sue ferite
Ha speso ore a descrivermi
quel soffio d’anima
teso da lei ad altri, offerto.
Passione di parole che nulla scontano
alla realtà che l’ha calpestata,
ignorata nelle notti a precipizio
d’umori incerti, per cuori malati
di battiti rallentati d’ingratitudine
e sangue surgelato.
Alza gl'occhi
soffia nelle mani
cerca qualcuno,
io senza riparo
nell’incessante ricerca
di un’ombra che coprisse
lei dentro me.
Ero il sacco da prendere a pugni
seduto inerme di fronte ad una donna
decisa a sudare lacrime per dimenticare.
Quindi, zitto...
Però come pure le dissi
nemmeno io
stavo tanto bene in quei momenti
durante i suoi dettagli.
Come evitare che lo sguardo ricadesse su di me
non scorgervi il caos tremendo
Vertigine d’uomo sull’orlo del buio...
Ascoltavo lei, dovevo aiutarla
e sentivo me stesso che bisbigliava
"Tu chi sei? Cos'hai?"
E ogni volta rispondevo perchè la risposta è una...

In silenzioso sospetto




(Scritta in un giorno freddo con un'amica. Ne è passato di tempo. Ora sono chiuso in appartamento sopra i libri sforzandomi di trattenere qualcosa che assomigli ad una equazione reale, le finestre sono chiuse per lasciar fuori il caldo e mi basta la lampadina incandescente sulla mia testa ad abbronzarmi, ora sono più consapevole. Guardo questi appunti di viaggio, mi riconosco e penso a quanto ho scavato per nulla. Non ne avevo i mezzi. Non possedevo i protocolli di sicurezza)

venerdì 27 giugno 2008

Quando l'oroscopo dice chi sei

Di solito non seguo l'oroscopo, ma aspettavo in stazione che S partisse a tratti sventolando l'edizione di EPolis Milano sulla mia faccia, a tratti leggendo. Ho scoperto che l'ariete è in forma. Reattivo, pratico, solido. Ed è quasi tutto merito di Marte, anche se non saprei perché, ma in parte anche della razionalità e della costanza con cui gli arieti mixano impegni ed energie. Negli affetti e nell'amicizia non devo mediare. Passionale, affettuoso, prepotente, possessivo.
Per finire con...Se amate lo fate senza riserve. E' il vostro pregio. A volte anche il difetto. Voto 7.

Giusto!

Mi sento lusingato, non avrei saputo dir di meglio, però mi chiedo se conosco chi l'ha scritto, o viceversa, lui/lei dev'essere al corrente di tutte le cazzate che porto a termine.

Un arcobaleno sul ponte della Ghisolfa

Fermi sul ponte della Ghisolfa
in un imbuto di macchine in tre file
Il tizio della Ford sputa la calura
e la cicca dal finestrino
tra decine di rottami di latta
fatti di specchio.
Vedono l’ora
si consolano di progresso
il dopo verrà e forse sarà niente,
oltre il riflesso, non farà male
non importa un accidente.
E' tutto asfalto che cola come appena steso
E' un incessante borbottio di gas
la tosse metallica che ci soffocherà.
I binari della ferrovia corrono, sotto di noi
a nascondersi tra scheletri ferrosi
di antiche glorie locali, ossidate,
le fabbriche della Bovisa.
Dappertutto, un velo di nebbia sul sole
che chiacchierando potresti dimenticartene
ma è sempre lì, la vedi tra i pochi alberi
mosci sul punto di svenire
e accasciarsi contro i palazzi
di ceramica marrone.
Il caldo confonde,
è un'allucinazione che mischia tutto
uomini compresi.
In coda con noi, immobile, sbiadito
beffardo da troppo tempo
il cartellone del Casinò di Campione
Un tir parcheggiato eterno
dove non c'è più spazio
per respirare.
Butta la Marlboro e dice:
"Questa zona verrà rivalutata"
Guardo un vecchio laggiù
ai piedi della tangenziale
s'asciuga le sembianze con un fazzoletto
per tenersele attaccate alla faccia
qualche minuto ancora.
Per mano una bambina.
Soffia in una girandola arcobaleno
e freme per andare, attraversare,
chissà cosa s'aspetta...
Non è tutto uguale.
Accende l'ennesima Marlboro e dice:
"Io comprerei casa, qui. Un affare."
Chiudo gl'occhi,
gira un arcobaleno
Ringrazio un piccolo fiore
perchè non sa che sia
il destino...
Apre se stesso al cielo
sfiora l'infinito che trova
senza confini
verso la fine che prima non c'era

mercoledì 25 giugno 2008

Biologicamente senza pane

Sono entrato per prendere una pagnotta nel negozietto biologico al civico dopo il mio verso le sette di sera. Non sapevo vendessero pane, ma oggi l'ho scoperto per caso scritto cubitale su un cartello colorato. Un bambino ci giocava e ha attirato la mia attenzione. Ci passo ogni tanto, il più delle volte distratto, il più delle volte la mattina presto e col letto sulle spalle, e poi dipende da... oggi andrò a destra o a sinistra appena fuori dal portone? Me lo chiedo da anni, ma presto ci darò un taglio. Lui sta a sinistra e io inspiegabilmente vado quasi sempre a destra. Sarà che c'è un po' di umanità che si sveglia per via Imbriani, i negozi, quel buco che vende trippa e nervetti freschi che mi ricorda le passioni di mio padre e certi retaggi contadini che stridono in città, e poi i bar, l'edicolante rintronato che col caldo non porta più il cappello da banchiere dell'ottocento, i pensionati seduti sul marciapiedi col giornale, caffè e sigaretta, a urlare con la loro anima da periferia contro il Berlusca, i pezzi grossi che sanno fare solo i pezzi grossi e il barista che non esce in strada a ribattere alle provocazioni. Così evito piazzale Lugano oltre la sinistra, dietro l'angolo, con quella imponente pubblicità di un casinò, che ti fa meditare sulla stupidità umana capace di piantare un idolo di carta sopra una montagna di merda, alla faccia di tutta la gente ai suoi piedi, intorno, che si tura il naso ogni giorno per sopravvivere e non pensarci troppo. Di fianco, l'ingolfato ponte della Ghisolfa, sulla ferrovia, che porta il peso della Milano stressata in tangenziale, sono cose che non mi aiutano ad iniziare la giornata e vado a destra, se non è giorno di mercato perchè, nel caso, è tutt'altra storia, ma non di questa sera. Mi piace variare e qui le scelte sono due.
Dicevo... sono entrato e uscito senza pane, come capita nelle faccende della mia vita, entro con un motivo, ne esco con l'averlo scordato e con altro per le mani. Il negozio sarà come molti altri di quello stampo, biologico, colorato di stoffe esotiche, equosolidale, ma l'uomo dietro il banco non lo trovi da nessun'altra parte. Prenoto il pane, funziona su prenotazione, parliamo di pane e sua moglie, al telefono con un fornitore in India, e siamo finiti a mangiare biscotti al camut che dev'essere una farina a me tanto ignota che leggendomelo in viso, tanto per fugare ogni dubbio, mi offre un bicchiere di vino. Naturale come se mi aspettasse. Poi scatta sulla sedia e si ricorda d'avermi venduto una tartaruga piccola piccola intagliata in una noce dura dura. "Ah, ma ti avevo fatto pure un fiore al mais, no?", come sta lei, le sono piaciuti? Ehm... Si certo! Cin cin, ho risposto. S'è messo a ridere e io con lui. Bicchiere vuoto, ma ci tornerò.

martedì 24 giugno 2008

basta un attimo
per cambiare tutto
girare la medaglia
è un pensiero che dice
lascia perdere
prendi come viene
quel che viene
e anche quel che vuoi
ma fregatene se non va
questo o quello
quel che dicono
e non dicono
arriva altro
sempre
anche se spesso casco
impreco
spacco tutto
deliro
ma...
pazienza
son fatto così
è il mio modo di amare la vita
e chi me la porta
inchinarmi a lei
per ringraziarla del fuoco
che di tanto in tanto
mi mette dentro
sono maledettamente me

e lei disse,
ciao...

te ne vai?

mi piaceva finisse così
vado a dormire

lunedì 23 giugno 2008

Dice a 600Km di distanza

affascinante...
di stile...
anarchico
libero
romantico
passionale

e io che un po' mi conosco...

Testardo...
contro vento...
sapendo che mi torna indietro.

Cosa mi sono perso?

domenica 22 giugno 2008

Pensieri in volo come uccelli che si schiantano contro finestre chiuse

Mi ha fatto perdere l’equilibrio più volte come un ragazzino o uno scimmione stupido e ubriaco, dipende da chi mi pensa. Ho spaccato sedie, piantato forchette e coltelli sui tavoli, pestato qualcuno, violentato qualcuno, forse ucciso qualcuno e poi me ne sono andato. Ho preso a sassate finestre e a calci muri che molte volte appartenevano a lei. Ogni istante in cui l’ho immaginata guardare un altro come guardava me, andare per calli a Venezia col palloncino verde abbandonato e raccolto sta volta non da me, sorridere a lui chiunque fosse com’era un giorno per me, lasciarsi stringere e fare l’amore come sapeva con me, ho rotto tutto quello che potevo, cieco di una sorta di gelosia postuma. Avrei preso a sberle il primo a caso che mi diceva, "Sciocco, ancora ci pensi tanto? ", perché non avrei saputo esprimere meglio il concetto "Ma tu, che cazzo ne sai?", quand’è ovvio che tutti sanno tutto perché ci sono passati pure loro. Me lo scordo ogni volta che perdo qualcuno, c’ero passato anch’io. Dicono ci voglia distacco dalla propria sofferenza, almeno una certa dose per non rischiare la dipendenza, e io mi sono perso dentro come in una densa nube tossica e immensa, o era piccola, non so, non vedevo un accidente.
Tossivo del mio malessere con accessi in irrefrenabile crescendo, fino ad appoggiarmi a te e percuoterti, ma erano colpi di tosse, piccola... Quell’idea era nella mia gola e non respiravo. Quando provi la sensazione di soffocamento, quando hai in testa che tra un secondo è la fine, anche se perché semplicemente qualcuno manca, e vivi questa sensazione ogni giorno, più volte al giorno, non ricordi cosa significhi vergogna, non ti interessa. Non hai limiti perché se la fine ti attende, non c’è limite più grande e tutti gl’altri non esistono sotto la sua ombra. Metti da parte l’orgoglio perché tanto tra un secondo non ti servirà più. Dimentichi che la vita è questa, gira anche così: secondi in cui muori, secondi in cui rinasci. Non è un gioco, non ci sono bonus da portare a casa, ma ti sono date molte possibilità per arrivare al livello successivo, alla prossima fine.
Ora quei muri li hanno ricostruiti più spessi, le finestre chiuse forse per sempre, ma qualcuno c’è, affacciato all’altro lato, a sud, dove scalda il sole.
Ho fatto male i conti con me stesso.
E se non sono pazzo, è certo che lo sono stato.

sabato 21 giugno 2008

Un po' di sano esorcismo contro vecchi fantasmi

Ovvero: Se lei ti molla per un altro e dice che la colpa è tua.

Sta sera vi racconto l'epilogo di una vecchia storia. Nero su bianco a futura memoria. Per me, per tenere meglio gli occhi aperti quando servirà e magari per voi chiunque siate, affinchè impariate che qualche dubbio può aiutare a discernere lo stato delle cose quando vi siete troppo convinti per fede, o amore, che una persona sia come ve la immaginate nel vostro piccolo mondo ideale.
Perchè anche il mio stomaco pensava quei fatti del post precedente e vattelapesca in altri, pensava a lei, ma ora mi sento uno stupido pivello. Perché se ami una persona, le credi. Contro ogni evidenza. Anche se ti molla dicendoti che non la capisci ed è merito tuo. Se ti dice addio perché la allontani e non comprendi come tu ci riesca pensando a lei come alla donna della tua vita, continui ad amarla lo stesso. E ti vengono milioni di pesantissimi sensi di colpa perché ancora ebbro della felicità iniziale hai sentito come ti amava e se la perdi per sempre hai fatto tutto da solo... ma era tutto vero? Col senno di poi vorresti sinceramente capirci finalmente qualcosa perchè sai di non voler perdere una persona per l'intensità con cui l'hai vissuta, ma anche... beh, vorresti che gentilmente ti aiutasse a chiarirti certi dubbi sulla sua personlità che sarebbero d'ostacolo alla mia balzana idea di poter essere "amici" un giorno.
Il tempo passa, rimane il fegato grosso, a momenti, quando leggi per errore(?) il suo diario e non ritrovi la persona che conoscevi, almeno quando parla di te. Perché capisci che con buona probabilità non eri tu ad allontanarla, ma lei che s’avvicinava ad un altro, e da molto, moltissimo, tempo prima che tutto finisse. Lei che non ti vedeva più da un pezzo mentre guardava da un’altra parte, verso qualcun altro. E te ne parlava pure e tu prendevi tutto come ganci diretti allo stomaco. Perché capisco che se una persona insiste troppo a ripetere che c’ha provato, punto, a far funzionare le cose, tagliando così ogni possibile, minima, discussione ogni volta che diceva di provarci, sta forse gettando sabbia sulla sua coscienza. Per soffocarla.
Perchè semplicemente non voleva te, se non i primi giorni. Ma bastava dirlo, almeno per dare un senso alle parole "l'amore non basta", che non auguro a nessun innamorato folle di sentirsele sparare in faccia. Perchè senti di volere quella persona, che per lei spaccheresti ogni sasso del mondo per spianarle la strada, ma c'è qualcosa in te che non riesci a far funzionare e finisci per sprofondare nei sensi di colpa rischiando di perdere ogni buon senso e autostima, fino ad azzardare le azioni più insensate.
Forse non è vero niente, forse è tutto talmente vero che sembra ancora falso ai miei occhi.
Due persone che si amano, se si amano come dicono, devono fermarsi insieme, sulla stessa panchina, a guardarsi negl’occhi e capirsi. Ne hanno il dovere l’un per l’altro. Il resto sono scuse. E se ancora lo dico, è solo perchè vorrei ricordarmelo la prossima volta anzichè fidarmi e basta.
Perché ricordare tutto questo? Perchè è così che ho perso parte di quelli che sapevo i più bei ricordi della mia vita. Ci resti male quando capita, no? Perchè uno, così, non può più nemmeo dire a se stesso con un briciolo di certezza che è stato amato da quella donna, che è stato bello anche se per poco, dopo che tutto è finito.
Perchè ciò che conta è realizzare che i sentimenti, quelli veri, sanno essere spietati come una granata nello stomaco. Compreso questo, si cresce ancora anche a 28 anni, vedi le persone, il mondo, con il giusto meritato distacco. Da non crederci mai fino in fondo.

giovedì 19 giugno 2008

Un po' di jazz

Mentre studiavo qualcuno ha spalancato la finestra della biblioteca per lasciar entrare un po' di musica. Nel cortile di design, l'ovale a forma d'uovo, sotto un albero suona un gruppo di professionisti jazz con una voce femminile. Sono quei piccoli eventi che non ti aspetti qui in bovisa, dove il sole quando c'è di questi tempi, è opaco e il resto, i palazzi, le macchine e spesso anche i volti al solito poco più che grigio.
Anche la musica ha un colore... e ce ne vuole di colore per star chiusi qui dentro tutto il giorno.
Grazie ragazzi.

lunedì 16 giugno 2008

L'ispirazione

Se ogni foglio vuoto
scopre un sentiero
che ricordo, conduce a te;
e per una coltre di pensieri
caduti con neve silenziosa,
dalla luna alogena
di questi tempi
chiaroscuri,
nella campagna di fanghiglia
appena verde
che si scioglie
Ti fai sorprendere in attesa,
primavera...
Se scorrendo un verso
ti amo,
nel prossimo so che, per questo,
ti odierò
Se al mattino, sveglio,
spoglio rintronato,
mi manchi,
ma ascolto gorgheggiare
il caffé e distratto
stringo nella mano il conto
che pagherò
in un giorno sporco
di quel che resta
della mia ombra;
custodito
in goccia d’ambra
come insetto che più
non vola...
A sera,
sarai ancora qui
con me?
Sicura che
nulla più di te
si nasconda sepolto
abbandonato nella fretta
da qualche parte...perché
io, nel mio letto,
sognarti d’altro
ancora
non vorrei.
Dimmi cosa t’appartiene,
e lo scoverò!...
Intendo renderlo
a colei che un giorno
uccise il mostro del bosco
incantato tra fatui rovi,
e né dissacrò l’anima
finché fragile, come un dio
cacciato sulla terra,
divenne uomo
inchiodato
in un divino abbraccio
alla propria fine


Scritta nel febbraio di quest'anno, in uno di quei momenti in cui sei seduto sul bordo della strada, vorresti prendere la macchina e andartene, ripartire, ma non hai più una macchina e le tue gambe sono stanche.
A volte, per quelli in gamba invece, sembra tutto quasi semplice, salutare. Lasciare, chiudere in un cassetto la biancheria sporca e andare. Ma io sono di quelli che pensano alla biancheria sporca dimenticata, che prima era bella e l'hai abbandonata. Era solo sporca e nemmeno quello, aveva solo molta umanità addosso.
Mi serve sempre un certo tempo per capire che, in fondo, erano solo calzini e qualche paio di mutande.

sabato 14 giugno 2008

Fame di parole

M’è venuto di postare questa scritta anni or sono e della quale tra un po’ ricorre l’anniversario.


Fame di parole

Il suo cuore s’è accasciato, stanco.
E noi galleggiamo in sala d’attesa, drogati
da quel rassicurante odore
d’alcool disinfettante
e il sibilo cadenzato, regolare
di un nonnetto col polmone bucato
che costringe i minuti
al loro passo
incerto.

Avviene che anche oggi
mi nutro di parole
Parole di promesse
Fraintendimenti
in scommesse
Presagi di morte

mercoledì 11 giugno 2008

Il mio regno per un cavallo

Cos’è l’amore, infine?

Aver amato, amare, e dirsi che è giusto così. Che presto o tardi lei stia pure con un altro, se sarà davvero felice. Perché quel che io sento non conta nulla, se non la farebbe sorridere ancora su quella panchina con me.
Amore è cambiare se stessi grazie a qualcuno e smettere di pensarlo con parole simili a "il mio regno per un cavallo".
Ecco, in qualche giorno, mentre costruisco la mia vita, i miei pensieri deraglieranno ancora d’amore imberbe, d’amore naturalmente egoista, perché l’amore è anche egoista, ma credo che se arrivi a dirti questo, dopo le lacrime, dopo tutto quello che può essere successo, allora puoi pensare che quella persona per te davvero conta.
Sopra ogni altra cosa terrena. Sopra ogni tua goccia di sangue caduto a quel primo pensiero.


Ora viene la laurea e il cambio di città, così è scritto, così è deciso.

sabato 7 giugno 2008

E giusto precisare, come alcuni mi hanno chiesto, che le "poesie", se così vorremo chiamarle, non hanno date perchè non ho mai messo loro date. Mi ricordo ogni dettaglio di quei momenti, la situazione che mi ha portato a scriverle anche se sono state scritte molto tempo fa e questo mi basta.
Nessuna di quelle che trovate, e probabilmente troverete, corrisponde al giorno, a volte nemmeno all'anno. Praticamente mai.

Ogni parola

Ogni parola
una poesia anche non mia
sono parti di me che cadono
nei lievi solchi della vostra terra
Sono io annunciato da una preghiera
e stendo le mani per scaldarle con altre
Le vostre...
Un'alchimia che darà consistenza solida
al caso che creò il mondo
e ci ha abbandonati
in questo tempo
finché un vento più forte
non si porterà via
anche la nostra sabbia...
A turbarmi è il mio silenzio.
In certi istanti
pare zittire il mondo attorno
come se aspettassi il fischio del vento
Qualche secondo
sterilizzato d'incanto
in un'isolata atmosfera sottovuoto
e poi il rumore ritorna
Le auto borbottano tutto il loro malessere
Le voci mi rincorrono, gli occhi s'incrociano
e vorrei abbracciare gli uomini
per il fatto d'esistere
lì e adesso
Baciare una donna
solo perché la fortuna
l'ha portata accanto a me
Bere un calice
con la parsimonia
di chi conosce
il sapore un po' amaro
del sangue ancora vivo.

venerdì 6 giugno 2008

E mi sembra ogni centimetro al suo posto

Le sere semplici come questa, ad ascoltare la pioggia in silenzio con Sabrina, seduti sui gradini che danno sul cortile, arrivano che non ci credi. Che parole servano, per dire cosa, non interessa più. E mi sembra ogni centimetro al suo posto. I peruviani hanno traslocato oggi qui di fronte, all’altro lato del cortile, e sistemano vecchi mobili anni settanta, girano materassi, ma non scorgi chi li porta mentre passano a turno alla finestra. S’impartiscono ordini sconnessi l'un l'altro, attraverso un pezzo di cucina, uno si pesta un piede, impreca e io mi sento vivo. Lassù, al terzo piano, la biancheria dei cinesi cola dimenticata sul balconcino. Il fritto arriva e da quale fessura verde illuminata non lo saprei dire. E’ tutta vita nascosta col velo di sposa, è presenza vicina, pudica, ma ho l’impressione si curi di avvisarmi che è qui con me, questa sera. Un padre al figlio che gli urla - Imbecille, non lo dovevi fare!- replica più rassegnato che arrabbiato - Stronzo, sono tuo padre!- e un bambino, oltre la tenda parasole al piano di sotto, piange... dal fondo di luce ombrato, tra gl’alberi, tacchetta il passo di una donna invisibile sotto l’ombrello, ci scorre di corsa a due passi, senza badare a noi e ricordo che c’è tutto, è tutto a posto.
Un bambino piange e qui la vita è tutta. E’ tutto qui un mondo tornato anche col pancione del vecchio bianco seduto qualche metro sulla mia testa. La canottiera, quel pelo esibizionista, ma che importa, se qui ciascuno è a casa sua. Non è Milano questa. Non nasconde ciò che è. L’avevo persa di vista tanto che mi chiedo dove sono stato, e come a volte capita per un sogno, non so rispondermi. L’ho scordato proprio sta sera.

lunedì 2 giugno 2008

I nostri padri

Sono nati
e avevano fame.
Si lottava per un letto
un tetto e un pezzo eppiù di pane.
Sono cresciuti
sotto un tetto, con una moglie
un letto e una cucina in affitto
Chiusi in una fabbrica dove il tempo
si stringeva attorno ad uno soltanto,
il padrone, che affrancava nel profitto
la propria fame gettando nel piatto
un misero tozzo di rancido pane.
E quasi in silenzio
borbottava uno stomaco
appeso appresso all’altro, alla catena
del rumore a martello come di sangue,
alle tempie, il brusio del fischio
ad alta pressione
Per otto ore...
Ma sono vecchi, e scordano l’indigenza
e le dottrine di chi poco ha ottenuto
oltre un po’ di tossica sussistenza.
Padri che siete, raccontateci... A noi, che rimane?
E non dimenticate nemmeno le polveri della guerra
che i vostri scrollarono su di voi, affinché nulla
di ciò che restava del dolore fosse perduto
dentro il vestito della ritrovata festa.
" Sopra macerie di dottrine crepate
giacciono in pace, perché
sono nati, e senza fame,
dentro una vita
presa in affitto "
Dite qualcosa
che strida nel sonno
prima che questo sia l’inciso
alla nostra ignota generazione

venerdì 30 maggio 2008

Quali frontiere barricheremo?

L’altra sera ero casualmente impegnato in una di quelle chiacchierate a stomaco pieno, che non pretendono certo di distogliere l’attenzione dalla digestione, ma che iniziano, forse, nel momento migliore per afferrare la sincerità nelle parole di chi normalmente, lontano dai pasti, deve spendere troppe energie per domare a calci il proprio pensiero.
Non potendo permettersi di impegnare il cervello su due fronti, contro il cibo e contro la libera espressione, trascorre il tempo della panza piena sciorinando il personale vangelo. Quello che, per esser maturato nella memoria, riempie l’ambiente come un fiume in piena.
Un degno commensale di casa Osbourne, proprio uno di quelli con seri e rumorosi problemi di digestione, sbotta dicendo che i gay sono dei deviati e gli fanno schifo! Sono solo dei pervertiti!
- Malati direi. Anzi, alla stregua dei pedofili suppongo... - Ci fa sapere di essere anche contro l’aborto! - Ma pensa! Anche il tuo DNA s’era pervertito? Che pessimo scherzo - Per lui la legge sulla fecondazione assistita è più che giusta
- Te l’avessero chiesto... L’integralista cresciuto in una provetta assistita in un laboratorio di Saddam. Usa le parole " madri assassine " – Però i negri e tutti gl’altri extra possono restare, - Oooh, un Satana senza forca né corna, allora - ... finché servono, e regolari! Che lavorino, non vadano a riempire i nostri bar, e non stiano sempre a raccontarsela nelle stazioni. Che le pago anch’io! E sono già luride per conto loro! - Opperbacco! Quante volte la settimana hai detto che prendi il treno? Aspetta che programmiamo i rastrellamenti della cooperativa SS, salvezza e sicurezza (per chi fosse dell’ambiente: coop Sissignor Senatur).
<< E, e...quelle moschee dovrebbero demolirle tutte. Raderle al suolo. Ma che credete combinino tutto il giorno lì dentro, secondo voi? Trafficano chissà cosa e organizzano attentati chissà dove >> – Costruite templi capienti! Dovranno contenere i grassi, loschi traffici di Allah, nonché il tritolo per far saltare i suoi fratelli... Parole del profeta!?!
Se vi state chiedendo che gente frequento, tranquillizzatevi! Non sarò il solo a frequentarla.
Alcune delle persone amiche con cui magari quotidianamente vi intrattenete anche per un caffè, potrebbero dirne forse di peggiori. Probabilmente tutto finirebbe in quattro risate e, per quanto amare da parte vostra, non avrebbero altra pretesa che di assecondare delle eresie, in cambio di cinque minuti in più lontani dallo stress, fuori dall’ufficio. Di noie ne incontriamo quante bastano ad occuparci la giornata, se cominciamo a cercarle nelle pause, nemmeno la notte garantirebbe uno spazio isolato per il sogno dei giusti. Ma poniamo il caso di voler controbattere a simili frasi fatte, costruite e distribuite nel comodo formato 'slogan'. Di voler ricacciare in gola al clone del miglior Ozzy, con le dovute argomentazioni, ogni singola parola. Che dire? Spiegare cosa? Mentre lui senza mirare lancia cannonate, io, con tutta la buona volontà di centrare il bersaglio, non posso altro che mandargli il rumore della mia pistola a salve. Pare così forte, nascosto dietro il fumo della sua artiglieria, da persuadermi quasi a credere le mie argomentazioni come dei bei, quanto inutili fiori lanciati a pioggia sul campo di battaglia. Il pesante fracasso di quella bocca appesa sotto il naso a stirargli gl’occhi, obliquamente spalancati a rovesciare il mondo, non può che distogliere la vista dai colori attorno. Probabilmente è una mera questione tecnica. Forse non si rende conto che le palpebre funzionano meglio se schiuse orizzontali.
Limitandomi a raccontarlo in termini di paragone, e tentando quindi di appendergli un’etichetta, potrei definirlo Razzista? E se così fosse, perché non mi sento tranquillo della gabbia in cui l’avrei rinchiuso? La parola ‘Razzismo’ stimola nei miei ricordi storie di battaglie lette e raccontate nei libri di storia. Scene di galee imbottite di schiavi legati ai remi. Afroamericani piegati e sudati come macchie su campi di cotone. Non riesco a non pensare alle tante lotte per la conquista dei basilari diritti civili in America e in SudAfrica, per esempio. Alle manifestazioni non violente di Gandhi. Alla soluzione finale prospettata dal Terzo Raich. Nella mia memoria insomma, vedo il Bianco e vedo il Nero, e tanto Rosso sangue. Riesco a scorgere nitido ogni colore di quell’arcobaleno civile che s’appoggia da sempre sul mondo intero. Adesso pare tutto più difficile. Sarà la globalizzazione a giocare mescolando quei colori, o una moda sociale ricorrente che sta passando esattamente sopra il sole e niente riflette bene come prima, ma, secondo me, il razzista, almeno nel mondo che noi conosciamo, esiste solo in cattività. Ci sguazza, ma nelle mani di un ottimo veterinario e di un accorto guardiacaccia, da lì non scappa.
A dare del razzista ad uno che non abbia lo scalpo di chicchessia in mano, o che non sia accuratamente certificato D.O.C come tale, si incorre nella scivolosa condizione di afferrare un fenomeno con la giusta intenzione di denunciarlo, usando però una pinza troppo grande e pesante perché l’operazione non appaia a tutti quantomeno eccessiva. Detto altrimenti, la sproporzione dei mezzi per la causa, suscita un’ilare indifferenza. Denunciando a sproposito razzisti nascosti in ogni via buia della città, si toglie peso ad un termine cresciuto con la storia, da usare se necessario rompere il vetro e si grazia, con l’impunità pubblica, chi vive nella quotidiana Intolleranza.
Il muro del Razzismo si è frantumato. E’ come fosse esploso in tante minuscole macchie d’olio sulla superficie limpida ed increspata della nostra esistenza. Allo stesso tempo però si è depotenziato disperdendosi, non certo irreversibilmente, nella moltitudine di isole che siamo. E siamo tante. Incapaci fisicamente di organizzare un solido fronte comune, esattamente come della macchie d’olio. Considerate che se i confini di ogni chiazza opaca si stringono, sicuramente si ridimensiona l’uso della valvola razzista, ma nel contempo aumenta la pressione della diffidenza e dell’intolleranza. Le più pericolose sostanze disciolte naturalmente nel sangue umano e che, oltrepassati incerti limiti, lo fanno ribollire.
Penso alla ragazza mentre aspetta il tram. Nascosta tra una folla di cui essa è la figlia di razza. Non si cura apparentemente di nulla, se non della voce al cellulare, il suo mondo nella mano. Non vede, non sente, ma bastano quattro suoi decisi passi indietro, l’occhio dato per disperso che si fa attento e sottile, per capire che s’è accorta della strana famiglia venuta da un extra-lontano. Radunata ad aspettar lì il mezzo, ancor prima che il suo mondo le squillasse in mano.
Che dire della donna di mezz’età imparruccata dalla domenica, che scambia il make up mattutino per il trucco della guerra tribale? Un posto nel bus certamente vale uno sguardo arcigno e una frase scortese ad una giovane indiana.
- Non ti sei marcata gl’occhi di nero-blu per la battaglia sta mattina? - E’ questo il prezzo da pagare, per rivendicare il proprio diritto di cittadinanza, in quest’Italia spalancata e piccolina.
Sembreranno, i miei, nient’altro che esempi sospettosi e paranoici. Potrei procurarvene una lista di ben più gravi, ma svierebbero solo l’attenzione dalla paradossale leggerezza dei fumi tossici abbandonati dal razzismo. Diffidenza e intolleranza si sono sprigionati dopo la caduta di quel muro a difendere ciò che apparentemente rimane del nostro sminuito territorio individuale.
Eravamo i bianchi, i ricchi, i veri cristiani, i detentori del Diritto (a tutto!), i conquistatori della cultura più avanzata. Ignoranti ciascuno la sua parte, ma consapevoli di rientrare in una delle dette magnifiche categorie. Comunque altro, almeno molti lo credevano, dalla restante parte, da quel sottomondo che poteva solo esser colonizzato, ma non salvato. In mezzo, si ergeva a monumento divino, il muro del Razzismo. Ora non può esser più così, e non ritornerà mai diversamente.
Sottocoscienza sappiamo tutti gli uomini essere uguali. Miliardi di cervelli, nasi, occhi, bocche, mani, piedi tutti letti sopra la medesima mappa senza specifico colore, moltiplicati ciascuno per gli altrettanti diversi errori di interpretazione. Ah, stupendi scherzi della natura che siamo!
In casa, in ufficio, o per strada la prova scientifica dell’uguaglianza l’abbiamo sempre con noi. Ma non lo sapevamo. Chi l’avrebbe detto saremo rimasti senza alibi? Frustare il 'negro', anche con le sole parole, come fosse un bastardo randagio e pidocchioso. Pensare all’handicap su due ruote e non all’uomo che portano, assecondando a passo svelto il brivido dei senza speranza. Alzare al cielo la croce per mettere in fuga Allah, non ci è più concesso senza sudare sotto il peso dei sensi di colpa, o senza che qualcuno senta il dovere di additarci al pubblico giudizio. Inchiodati, nonostante tutto, all’incontrovertibile responsabilità verso il prossimo, nostro fratello, gli dobbiamo la dignità d’esser vero come noi. Legittima come la nostra sarà la sua cultura, unica quanto la nostra la sua religione, forte non meno della nostra l’aspirazione ad una sua economia. Il tutto evoluto secondo la sua diversità. Ma allora quest’uomo, ‘nuovo’ solo perché ci si era persi di vista, ma vero adesso come noi, intenderà muovere i suoi legittimi confini verso quale direzione? Invaderà i nostri limiti culturali, economici e religiosi? Oppure vorrebbe allacciarli ai nostri pacificamente? Ci barrichiamo e selezioniamo con maniacale perizia, o apriamo le porte e l’accogliamo? Nella seconda ipotesi, chi ci assicura che quello non ci conquista e deruba? Poche epocali domande con un’unica valida risposta. Chiuderci all’interno non è più possibile. Semplicemente perché è impossibile.
Quell’uguaglianza, questa impossibilità unite dalla incontestabile umana diversità, non possono che generare una viscerale diffidenza. Il biglietto d’ingresso per un piccolo mondo piegato dall’ansia dell’intolleranza, oppure seme critico per coltivare dialogo con la speranza di farlo crescere in una sterminata valle assolata. Oggi, ogni interesse particolare che escluda volutamente altri da evidenti benefici, facilmente è inteso come meschinità semplice e pura. Le voci girano meglio di ieri. Allora mi domando come mantenere i nostri giocattoli senza apparire meschini. Come rubare le caramelle ai bambini 'diversi', senza passare per ladri pervertiti.
Un razzista mi risponderebbe che al randagio non devo nulla, e se intendessi fregargli l’osso non avrei da chiedere alcunché.
La realtà, invece, m’assicura che ora, e mai come adesso, non sono solo affari nostri. Se rubare e tenere, o restituire e offrire.
La scelta sarebbe ovvia, ma com’è ovvio l’animo umano bestialmente ladro, rubiamo, teniamo e ogni tanto restituiamo, non scordandoci di tirare la catenella.
Ciò che spaventa è l’esser proprio tutti così maledettamente uguali.

giovedì 29 maggio 2008

La beltà

Anche oggi a Milano piove, e non è parlare del tempo. Una ex capannone ex fabbrica di chissà cosa mi accoglie e si fa biblioteca. Una pausa da tutta questa luce al neon...
Per chi non lo conoscesse, vi presento Andrea Zanzotto.

da " LA BELTA’ "

AL MONDO:
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa che, cerca di, tendi a , dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso, in me stesso

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu “santo” e “santificato”
un po’ più in là, da lato, da lato

Fa di (ex-de-ob-etc)-sistere
E oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

Su, munchhausen

lunedì 26 maggio 2008

La loro storia

Gloria era per l’uomo della vita
Giulia, nient’altro che due coppe d’abbondanza
fluttuanti sopra un cuore di bambina
Da Laura, nella fretta d’un addio
ho dimenticato l’asciugamano
Lorena meditava fantasie di sesso campestre
L’elenco in cui qualcuna potrà mancare...
Sono donne con cui ho celebrato
segreti inni di intima gloria
in templi scaldati all’alba
d’un sole dal cammino differente
Anfratti accoglienti nel tempo
che per un momento
scordava il nostro diverso destino
Alcune le ho perdute
altre le tengo
o mi tengono ancora.
In mano stringo delle istantanee
che vanno ingiallendo...
Ma i sentimenti
i loro lievi sussurri
si posso fotografare?
Volevi sapere qualcosa di me!...
Ecco, io sono questo, amica mia
Un foglio di nomi sparsi
in appunti di viaggio
per quando tornano i ricordi
E sento che sono niente

sabato 24 maggio 2008

Giorni da clown

Giorni da clown


Alcuni libri te li ritrovi in mano quasi per caso e in ben particolari momenti della vita, che non giureresti davanti a nessuno, pienamente convinto, che sia stata tutta una semplice coincidenza.
Trascorri periodi che ormai hai rinunciato a segnare nel calendario, tentando di abbattere quei muri che sembrano cresciuti con una velocità tale che speri, e altro non puoi pensare, sia tutto un sogno.
Le persone che incontri per strada sono diverse…Interroghi i vecchi amici per capire se sono ancora loro, li ricordi, scorgi le sottili discrepanze con ciò che vedi e dubiti anche di te stesso. Ero io?
Ci sono dei momenti in cui tutto si riduce ad un attimo e ogni cosa, ad ogni ritorno, non ti sembra mai la stessa.
In quei momenti comprendi la vita come un album gonfio di straordinarie coincidenze, fotografate per essere ricordate così, perché non sarebbero ritornate mai uguali. Nel peggiore dei casi, ti avrebbero abbandonato per altre ancora, essendo tutte in fondo nient'altro che storie divergenti di vite che si sovrappongono in un punto, con un tempismo maledettamente perfetto, e per poco più di un istante...
Esci di casa la mattina e anche quel giorno t'accompagni con l'idea di vivere in un istante, e la tua mente s'arrangia come può per accendervi sopra una luce più intensa per cogliere le sfumature che andrebbero perse irrimediabilmente.
Così avviene che un incontro possa quasi soffocarti dalla gioia come fosse per la prima volta e, viceversa un saluto, strapparti una lacrima di malinconia come un addio...

Mentre annusi l'aria
intrisa d'acqua sole ed alghe
seccate sui sassi d'un tardo pomeriggio
trascorso in mezzo al Piave
Ti scopri semi serio
a confessare ad un'amica che sì,
la tua vita è una raccolta di istantanee
che ad appenderle non raccontano una storia
e finalmente hai capito una parte di quel che sei
Però ti senti un po'meno tranquillo di prima
e non ti spieghi oltre
per non respingere, mani avanti
quel sole seducente rovinando l'incontro
L'unica certezza che ti concede
di guardarla negli occhi
scordata la vergogna
per quel che le hai taciuto
sul racconto di mille favole
confuse in appunti troppo sparsi,
è che la tristezza, nata nel nulla
così s'è spezzata
ed ha un senso

Allora hai l'impressione che ti capiti di tutto e ti dici: "Che sorpresa!". Come quando ci siamo parlati su quella panchina, mentre le guardavo la guancia,lei capo chino su dei biglietti del treno, mi sono sussurrato un po' di volte: "Ma tu guarda, chi l'avrebbe mai detto".
Ti sorprendi a tal punto che anche uno come me arriva a chiedersi se debba mai ringraziare qualcuno, uno di cui già da molto tempo ho rifiutato l'esistenza. Ma le cose finiscono e ti senti una piccola, unica parte di un tutto troppo grande e finisci per vederti diverso, e mancare di proposito il tram che portava tutti. Mentre aspetti il prossimo ti leggi un libro scelto distrattamente tanto per ammazzare il tempo, e giungi alla fine che il protagonista condensa in una battuta la stessa conclusione per la quale tu, nei tuoi pensieri, avevi scritto un capitolo di recente:
- Ma che tipo d'uomo sei?, e lui -Sono un clown e faccio raccolta di attimi!
Esattamente come se avessi incontrato un amico che ti sa leggere dentro, ti convinci di non essere poi così diverso, e sicuramente un po' meno solo dell'altro ieri, tanto che adesso diventi impaziente perché il prossimo tram, al solito, ritarda...

venerdì 23 maggio 2008

In te...

In te esiste
il volto di una notte smarrita
scherzando con magia e tormento
Là ogni risposta naufraga bagnata
alle spalle del sole
mentre aspetta che tu decida
Se ti giri, piccola
sarai svelata come nuvola
che si scopre solitaria nel cielo
Vapore d'una mattina d'agosto
dopo aver ascoltato per ore il mare
senza chiudere occhio.
Per sempre resterà la notte
scura nei tuoi capelli
il languore pallido della luna
che ti guarda in viso
e due oracoli inconoscibili
che brillano sottili e lontani
come stelle nell'infinito.
Sono i Cancelli socchiusi senza catene
che un ragazzino appena curioso
varcherebbe immediatamente
Ma chi li oltrepassa
ha le chiavi...
altrimenti è perduto

sabato 17 maggio 2008

17 Maggio

Era un mercoledì che aspettavo. Ad una della solite riunioni studentesche dove tutti parlano. Chi si sbatte perché altri comprendano la sua idea, chi ride ad una battuta del vicino, chi si guarda intorno e forse ha la testa altrove. Io ascoltavo, ma non tutto capivo, come quando hai un pensiero vivace in testa e la quotidianità diventa un suono sordo che ne afferri il senso senza troppi dettagli. Aspettavo una telefonata da un’amica, era quello il giorno, verso il tardo pomeriggio l’ora. Non l’ho più sentita. L’attesa è finita in una voce sconnessa nel silenzio, improvvisamente svuotato di pensieri, della mia. Un’altra telefonata e di quelle sole che non t’aspetti mai, per avvisarmi che quel mercoledì 17, Maggio se n’era andato con lei e la sua sorellina.
Ognuno ricorda secondo se stesso. E questo è il mio fiore accanto alle loro foto, piantato nella notte di quel 17 Maggio. A tratti ingenuo e giovane forse, fino alla fine sincero come un fiore. Le mie stesse parole a leggerle ora le sento ingenue e stupide dentro quel che è successo. Ma mi bastano così come sono, a ricordare ogni momento di quel giorno, e degli impossibili successivi.

17 di Maggio

Questa notte, il silenzio,
spaventa a morte il sonno
ad ogni pesante
passo
d’orologio.
Vedo ancora il tuo strano
piccolo
naso
Le tue guance di velluto
appena...
rosse
I tuoi capelli d’aria
scuri
tanti
arricciati.
Gl’occhi...non riesco
Come pensarli chiusi
adesso, domani, quando verrò lì a salutarti
La prossima volta...
Senza più movimento quei capelli
che avrei passato fra le dita
come un bambino, mano tesa
fuori dal finestrino
ad afferrare il vento.
Sempre più fredda, la pelle
che vorrei accarezzare adesso.
Niente più un sorriso
Niente più respiro
E poco fa dicevi: ”Dai, vieni alla casa!
Vieni! Vieni!...
Alla fine di Maggio...andiamo?”
E la tua sorellina
La piccola
curiosa
gentile
La figlia di Luna.
Siete fuggite assieme, alla Casa
senza aspettare
e senza di noi
su una macchina
che avete parcheggiata
nel cortile dello sfasciacarrozze...
Amica mia, ancora fatico a credere
che con voi, oggi
Maggio è già Finito


Passerà...

Come passerò il primo sonno
che giungerà presto o tardi
sapendo che nei miei pensieri ci sarai tu,
e il sogno s’infrangerà per intero
lacerato tra dei maledetti rottami
tagliati e incollati di sangue?
Dimmi, come?
e tu...
dove sarai?
dove?


Arrivederci

Quando cesseranno d’arrivare
i treni carichi di sorrisi
e amore da dimenticare,
e avrò imparato quale viaggio
e quanto lontano basterà
a riportarli indietro
come non fossero mai partiti,
allora, forse, sarà giunto anche per me
il momento di partire,
di mettermi in cammino per la casa
al primo tiepido respiro
della Fine di Maggio


(La casa si riferisce ad un luogo ben preciso, in Toscana. Stavamo organizzando per trascorrervi qualche giorno tutti insieme, alla fine di maggio)

sabato 10 maggio 2008

Se un bambino...

Caro Diario chiuso nel cassetto,
in questi giorni molti si chiedono ancora perché certe cose accadano. I più rintronati si interrogano su che ministero sia quello delle semplificazioni e come passerà le sue giornate Calderoli dentro tal ministero, consapevoli che le risposte saranno dure da credere se si difetta di fantasia. Però, tutti quelli che hanno il tempo di interrogarsi, cercano anche qualche traccia del preallarme che fatti come quello di Verona meriterebbero. Quali siano i segni che ci avvisano dello tzunami o se dobbiamo accettare sia solo un’onda improvvisa da subire terrorizzati. Com’è possibile che il male sia così assoluto, o banale, in alcune sue dimostrazioni estemporanee di vitalità, che diventa tanto facile sospettare che un ragazzo, preso a calci fino a morire, non sia morto per davvero se non in un brutto sogno? Se non c’ero, non posso crederci. Quasi come chiedersi se dio, il più illustre tra gli assoluti, esista. Perché ci hanno detto che i romeni sono un problema dai tratti dell’essere endemico, forse l’unico ad attentare seriamente alla sicurezza nazionale e va estirpato. Purtroppo nulla ci hanno raccontato sui pallidi ragazzi di pura razza per bene. Quelli di buona e onesta famiglia. Lo sanno bene quelli che hanno votato questa destra, che l’emergenza stranieri per forza esiste nonostante i delitti violenti in Italia siano in netta diminuzione. Una sorta di sfida alle autorevoli aspettative della redazione di ‘Studio Aperto’, ahimé non solo, che doveva spolmonarsi a soffiare nelle rare notizie, pur di sventolare una bandiera in campagna elettorale. Le risposte si trovano ascoltando un po’ a caso i vari salotti. Ne hanno prodotte alcune i nostri cervelli migliori, compreso quello del presidente della camera secondo il quale bruciare una bandiera è fatto assai più grave di un pestaggio mortale gratuito. Anche se va detto, sempre secondo lui, che i fatti da lui stesso menzionati e paragonati, non sono certo da paragonare…Il che mi ha lasciato lievemente confuso e, per afferrarmi ad una misera certezza, ho focalizzato sulla notizia che gli assassini erano una gagliarda banda di fascinazisti. Ah! Il nostro presidente gioca d’azzardo con la sua storia personale e stava solo mischiando le carte in tavola per confonderci il grande bluff. C’è chi ha stigmatizzato quei ragazzi semplicemente come dei delinquenti che andranno necessariamente trattati come tali, in nome della giustizia uguale per tutte le razze. Quella Veronese compresa. A me, caro Diario mio, par di sentire piuttosto un gran sciacquio di mani nel rumore che producono le chiacchiere di questi personaggi, siano essi sindaci o presidenti di regione o peggio, della camera. Non mi spiego altrimenti la riduzione a niente, ad un semplice fatto di cronaca nera, di un accaduto così grave. A meno che non sia questo che intendevano per Ministero della semplificazione. Perché, mettiamoci d’accordo una volta tanto: se sono ragazzi per bene nati di buona famiglia, è difficile parlare di delinquenti della peggior specie alla stregua dei barbari dell’est. E viceversa. Il sillogismo magari gocciola in qualche punto, ma quanto meno dovrebbe far sorgere più di un dubbio, non dico un rimorso, a chi usa le parole con tanta leggerezza. In fondo l’odio assassino di gruppo, appunto perché di gruppo, non nasce dalla follia di un istante, di un singolo che magari accoltella la famiglia. Cresce laddove viene coltivato, l’odio. Poi ciascuno lo raccoglie a modo suo. Chi s’accontenta d’urlarlo allo stadio o al bar, chi non vedendo argini, confini, tra pulsioni spesso ideologiche e realtà, usa anche i calci per risolvere un suo problema. E di coltivatori diretti applicati al settore l’Italia ne è piena. Le loro parole vengono sdoganate come pure esibizioni folcloristiche, talvolta sfruttate a mero uso elettorale quindi buone per cacciare voti. Ma c’è sempre qualcuno preparato a riceverle, a sentirsi esso stesso sdoganato finanche investito di un dovere tutto ideologico e si finisce come a Verona. Penso a chi come il sindaco della mia città, Treviso, per esempio definisce e apprezza i musulmani come un tumore. Un tumore sai che se non lo uccidi prima tu, sarà lui ad uccidere te. Oppure ricordo il giorno in cui dei nazi presero a bottigliate donne e bambini accucciati davanti il duomo per protesta. Il mio sindaco sceriffo disse che erano solo ragazzate. Penso poi al sindaco leghista di Verona che accoglie in consiglio un noto naziskin che si bulla pure d’esserlo e con precedenti penali per odio razziale sulle spalle. La piazza che salutava Alemanno con il braccio teso e il ragazzo che al microfono non prova vergogna e vorrebbe tanto sentirsi fascista vero, e che sfiga non essere nel ventennio. Mi sono rattristato il 25 aprile ascoltando un servizio alla tivù locale. La giornalista chiedeva “Ma liberazione da cosa?” Due su dieci hanno indovinato, uno era dell’ANPI. Stralci brevi di esempi veri, per sorridere quando parlano della morte delle ideologie e piangere allo stesso tempo. Perché l’odio e la paura sono ideologia. Hanno tentato di costruirci un impero sessant’anni fa e c’è mancato poco. Odio e paura fanno massa, e la drogano. I più spregiudicati lo sanno e raccattano voti in un’Italia sempre più impoverita, soprattutto della sua storia migliore che le aveva scrollato di dosso quell’aria di bassa provincia. Diventa ideologia perché forse è vero, come dice un attenta signora Doret's Law Nolte, che se un bambino vive nella critica impara a condannare. Se vive nell'ostilità impara ad aggredire. Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido. Nella vergogna impara a sentirsi colpevole. Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente. Nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia. Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia. Nella disponibilità impara ad avere una fede. Nell'approvazione impara ad accettarsi. Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo. Con la benevolenza impara che il mondo è un bel posto in cui vivere
Bambino o cittadino, una domanda soltanto: dove insegnano tutto questo?

venerdì 9 maggio 2008

Senza titolo

Ero bambino
e mi riempivo al profumo
delle acacie al limitare del bosco
Adulto, da sopra la collina
cercavo il mio destino al tramonto
prima che il vate insanguinato
riparasse oltre le pietre
Anche lui a cercar domande
che fossero risposte ai nostri sospiri
Vapori di lacrime ad appannare
brillanti pensieri sparsi
nella notte dell’universo.
Il mio profeta meditava in silenzio
e al buio, io, mi immergevo
nella volta celeste della sua mente.
Nulla è cambiato...
Eppure... Eppure ho nostalgia di un luogo
che credo non saprei riconoscere...
Sono ancora di passaggio?
Alle mie spalle
ho lasciato qualcosa?
Ora non ricordo...
Ho visto molte cose
dormito in letti senza padrone
forse nulla era importante.
Percorro una strada nella notte
che m’accoglie con stelle tracciate
nell’unica speranza dell’incostante cammino
Trovare e tornare in quel posto!
Credendo di abbracciare vite e passioni
che definiscano il senso di un destino
accarezzo i margini del sentiero
Ai bordi rallento e cedo il passo al tempo...
ed ho stretto nient’altro che un soffio
Una spirale di vento sul palmo della mano
mosso al passare di ombre fruscianti
mentre corrono a confondersi tra gl’alberi.
Che fuggano, che non mi vedano
o indifferenti perseguano
il loro libero arbitrio
Cosa importa?
Vorrei capire se tutto questo è scritto
Vorrei leggervi se la solitudine ha un senso
Intendere se per esser nato
l’incomprensibile assoluto umore
che mi porta lontano da ciò che amo
ne sia il giusto compenso

venerdì 25 aprile 2008

Quell'Amore

Amore
vive per sé
preso in un circuito
esistenziale
Il tempo
non ha cuore
e così lui corre
cieco
e mai
tranquillo
muore.

Fuggi straniero
per città inesplorate
cercando un seme
che coltiverai altrove
Annusando un profumo
che da lui ti porterà lontano
e verso un altro fiore...
Ma il tuo respirare è vano
Soffocato questa sera
in un sorriso che non scordi
e ti cerca con lei...
Vien appresso a te annunciato
dalla voce sentita un tempo
dentro fin dove il mostro s’è svegliato
Quel giorno in cui un parola bastava
a spezzare in due il mondo
Tu.....................Lei
e un addio al confine.

Vien appresso a te
Guarda Attende... la crepa
su quel muro di pietra
prima dell’oblio
E scava ricordi che ti sei taciuto

Lacrime infine

domenica 20 aprile 2008

Sopra un treno

Scollato dalla realtà
senza colpe senza saperlo
ti ritrovi in un binario parallelo
a viaggiare sopra un treno
da cui s’intravedono altri passeggeri
dentro ad altre carrozze
verso altre stazioni.
Distratto dall’illusione
frastornato nel movimento
sei convinto che tu
proprio tu
stai andando dove chiedevi
e sfidi l’attesa leggendo
nei volti che scivolano accanto
i motivi delle gioie e delle tristezze
che disegnano sulla pelle
un senso al prezzo del biglietto.
Ma distolto lo sguardo, in un istante
quelli sono già perduti
lungo rotaie inghiottite dal tempo...
Era mai accaduto che svanissero, così?
Le valigie che sbattono
le voci rinfuse in un sibilo
carte di giornali che s’accartocciano...
niente, ma dove?
Ehi, tu! Svegliati e fa quello che devi!
“Documento di viaggio, prego”
L’uomo col cappello del capitano è impaziente
“Mi sente? Prego, favorisca il biglietto!”
Ora, mio caro stupefatto passeggero
hai indugiato troppo a lungo
in questa stazione sparsa
di mozziconi ancora fetenti
dei tuoi dubbi sul ritardo di lei,
veditela con lui!
Vorresti esser lontano con loro?
Esserti procurato un biglietto simile
e scelta una carrozza con sedili imbottiti?
Ti rendi conto che hai vissuto
nell’illusione ottica di due treni
che sfrecciavano l’uno accanto all’altro
mentre il tuo, in realtà
chissà dove chissà quando s’è fermato
in una città di fantasmi,
che si divertono a giocar con te
perché sono belli, ma anche morti
sono ricordi e nient’altro più?
Ti nascondono una verità misera e secca.

Lei qui, non arriverà


sabato 19 aprile 2008

15-4-08

Qualche volta i giorni mi trapassano come una scarica e mi ritrovo steso al suolo a faccia in giù con poca forza di rialzarmi e mi trascino. Li conosco come già visti con l’umore a pochi centimetri d’altezza, quei miei giorni.
Certi giorni passano che mi guardo attorno chiedendomi confuso se non ci fossi già passato, se quei volti non mi abbiano già detto quella cosa. A lezione chiedo se quel tal posto è occupato, o forse lo era ieri? Il tizio dell’edicola ogni mattina è distratto a leggere borbottando un titolo in uno scaffale sopra la testa, e impiega esattamente lo stesso imbarazzante tempo di sempre a reagire alla porta che sbatte e lanciarmi il solito. Mi saluta chiamandomi ‘caro compagno’ con un repentino tono ufficiale, saltando sulla sedia quasi a giustificare quell’irriguardevole ritardo, ma il più delle volte solo un ‘ciao caro’ che tanto basta a riconciliarmi col mondo appena inizia la giornata. Porta un cappellino con visiera verde sbiadito e occhiali grandi quanto una maxi-pizza, così spessi che offrono un senso alternativo all’idea di prospettiva. Ha il suo mondo di carta dove ficcarsi, una moglie e un cane che lo porta ad uscire tre volte prima della chiusura, grazie soprattutto alle irridenti parole sulla targhetta ”Torno subito”. E’uno che sembra scemo nel modo stralunato in cui si scorda di te, nell’istante esatto mentre stringe la mano e la ritrae con la monetina, ma ti rimette in strada col dubbio di essere precipitato con le tue stupide conclusioni. E’ lui in ritardo o sono i tuoi neuroni che per la fretta di arrivare, ora, sono troppo spompati per capire lui? Forse non è che un po’ scemo per via di quella faccia accigliata e un po’ pagliaccia che, nel dubbio che instilla, nasconde qualcosa e probabilmente anche a lui ignota.
Incontro giorni in cui per la strada i volti della gente sono una sorpresa come tanti pesci in una rete. Storie che vorrei conoscere e mi limito a raccontarle a me stesso per gioco e per trovare un senso ultimo di tutto quel su e giù lungo i marciapiedi, mentre passo oltre e le urla lamentose di una donna mi sbattono in viso come una folata di vento caldo, attraverso una finestra spalancata d’un colpo. Una madre in affanno perché il caffé sale e brucia , un bimbo le piange addosso appeso al collo e il marito latita in un’altra stanza inseguendo le ultime sul calciomercato.
Una finestra, una vetrina. Una confusa e piena di gente con gl’occhi gonfi in fila per la colazione con cappuccino e brioches. Un’altra, impolverata e stantia, è il negozio di Horus. Si nota, certo, con quello scaffale di legno dove si ammucchiano, in calcolato disordine, borracce di latta bucate e ammaccate nella prima o seconda guerra che, d’istinto, vorrei sfiorare quasi per ascoltare tutte le bocche che da lì hanno sorseggiato del vino con una punta d’aceto, grappa cotta in una cantina e forse troppo o soltanto acqua. Cimeli vari di riflessi che la polvere ha ammazzato, compresa una maschera antigas in cui ogni giorno intravedo un gigante topo morto avvelenato e quella lontana sensazione che mi ha messo lo stomaco sotto sopra fin da piccolo, per l’unica volta che vidi davvero un film stile “The day after”, ma che ancora non riesco a togliermi quel suo gusto da guerra fredda, ferroso e di calcestruzzo rosso pallido arrugginito al tramonto, come i veri ’70 che ho sfiorato per un soffio.
Una vetrina dopo l’altra e mi specchio spettinato in un riflesso ombra al retrogusto del primo giro di caffé e nicotina. All’interno una donna porta una cuffia a barchetta arenata tra dei capelli ancora agitati da una tempesta di sonno. Serve pizzette a dei ragazzini che se la ridono tra loro senza badare a lei nemmeno quando pagano, mentre il viso del mattino le disegna un lieve sorriso che non pianterà alcun ponte perché nessuno, forse, lo noterà mai abbastanza. Magari domani, magari andrà diversamente. Vado oltre, mani in tasca, il mattino ha l’odore dell’asfalto che s’asciuga, ma respiro guardando il cielo terso e, per qualche secondo, nei miei polmoni non entrano che il sole e le cime dei pochi alberi verdi stropicciate dalla brezza di lassù. Evasione. Immaginazione. Non importa. Mi sento pieno così, nei giorni in cui qualcuno manca. Perché ci sono dei giorni in cui l’improvvisazione della vita suona un jazz che non è consentito resistergli oltre, devi prenderla e ballarci dentro fino alle ossa.
Come basta una sera, uguale a ieri soltanto, a scordare le corde del jazz e chiudere ancora le speranze proiettate nel mio mondo un po’ diverso, perché in democrazia se si gioca da una parte, si vince e si perde; e si perde che alla conta dei punti ti mancano anche le gambe per cercare un’altra fetta d’anima da rischiare in una nuova partita. Speranza, impotenza, lacrime, la sconfitta ha un sapore atavico che mi ricorda gl’occhi bassi di mio padre in tuta blu che bruciavano fino a poco prima, sopra un pagina di giornale; rimanda alla figura possente e dritta di mio nonno contadino, ancora giovane e comunista, che alza le spalle una volta, e una soltanto, per non vedere il muro dietro de sé e andare oltre. E mi avvicino inesorabilmente alla dispensa comune di consolazione preventiva, perché una madre come mia madre, comunque vadano le cose, ucciderà il vitello grasso perché la vita va avanti e così è sempre stato. Sono quelli che la storia l’hanno nel sangue e non rinunciano al sogno di cambiare il loro pezzo di mondo con l’opposizione messa tutta a pompare nel cuore, anche se rimane impressa nel loro destino e poi, il resto contro, oggettivamente, era una valanga.
Arrivano sere così, che la pelle ha trasudato ogni umore fin dall’alba, fin dall’apertura dei seggi con la responsabilità d’essere presidente e la fanciulla commozione del militante. Acre tensione che non vedevo l’ora di scrollarmela di dosso come un serpente la sua vecchia usurata faccia…Ieri sera girava pure qualche nota blues, stonata dal vino di colore denso come sangue, le risate starnazzate a tavola che tanto vale ridere o piangere, se hai delle radici a cui stringerti aspettando che la delusione sia finalmente sazia di illusioni e ti abbandoni a ripartire in pace.
Giorni come questi possono sembrare tanto pieni che al tramonto non ti aspetti nient’altro perché cos’altro ancora potrebbe accadere?...
Che lei venisse dal campo, dalla sterrata, tra la poggia sottile e scura, altra musica di un ospite inatteso, stretto in un lungo cappotto bianco, assorbente di luce come a scherzare con una notte d’ombre e minuti specchi d’acqua. Una donna che aveva nei capelli e negl’occhi quel velo bagnato di chi vaga bussando qui e lì, in cerca di una porta aperta per scappare il temporale annunciato.
E’ apparsa sulla porta con un certo suo sorriso che parla allo straniero, pallida in un viso chiaroscuro scavato in certe docili ombre, come ricordo di un tempo lontano, che stavo per dirle
-Davvero ci conosciamo?