venerdì 30 maggio 2008

Quali frontiere barricheremo?

L’altra sera ero casualmente impegnato in una di quelle chiacchierate a stomaco pieno, che non pretendono certo di distogliere l’attenzione dalla digestione, ma che iniziano, forse, nel momento migliore per afferrare la sincerità nelle parole di chi normalmente, lontano dai pasti, deve spendere troppe energie per domare a calci il proprio pensiero.
Non potendo permettersi di impegnare il cervello su due fronti, contro il cibo e contro la libera espressione, trascorre il tempo della panza piena sciorinando il personale vangelo. Quello che, per esser maturato nella memoria, riempie l’ambiente come un fiume in piena.
Un degno commensale di casa Osbourne, proprio uno di quelli con seri e rumorosi problemi di digestione, sbotta dicendo che i gay sono dei deviati e gli fanno schifo! Sono solo dei pervertiti!
- Malati direi. Anzi, alla stregua dei pedofili suppongo... - Ci fa sapere di essere anche contro l’aborto! - Ma pensa! Anche il tuo DNA s’era pervertito? Che pessimo scherzo - Per lui la legge sulla fecondazione assistita è più che giusta
- Te l’avessero chiesto... L’integralista cresciuto in una provetta assistita in un laboratorio di Saddam. Usa le parole " madri assassine " – Però i negri e tutti gl’altri extra possono restare, - Oooh, un Satana senza forca né corna, allora - ... finché servono, e regolari! Che lavorino, non vadano a riempire i nostri bar, e non stiano sempre a raccontarsela nelle stazioni. Che le pago anch’io! E sono già luride per conto loro! - Opperbacco! Quante volte la settimana hai detto che prendi il treno? Aspetta che programmiamo i rastrellamenti della cooperativa SS, salvezza e sicurezza (per chi fosse dell’ambiente: coop Sissignor Senatur).
<< E, e...quelle moschee dovrebbero demolirle tutte. Raderle al suolo. Ma che credete combinino tutto il giorno lì dentro, secondo voi? Trafficano chissà cosa e organizzano attentati chissà dove >> – Costruite templi capienti! Dovranno contenere i grassi, loschi traffici di Allah, nonché il tritolo per far saltare i suoi fratelli... Parole del profeta!?!
Se vi state chiedendo che gente frequento, tranquillizzatevi! Non sarò il solo a frequentarla.
Alcune delle persone amiche con cui magari quotidianamente vi intrattenete anche per un caffè, potrebbero dirne forse di peggiori. Probabilmente tutto finirebbe in quattro risate e, per quanto amare da parte vostra, non avrebbero altra pretesa che di assecondare delle eresie, in cambio di cinque minuti in più lontani dallo stress, fuori dall’ufficio. Di noie ne incontriamo quante bastano ad occuparci la giornata, se cominciamo a cercarle nelle pause, nemmeno la notte garantirebbe uno spazio isolato per il sogno dei giusti. Ma poniamo il caso di voler controbattere a simili frasi fatte, costruite e distribuite nel comodo formato 'slogan'. Di voler ricacciare in gola al clone del miglior Ozzy, con le dovute argomentazioni, ogni singola parola. Che dire? Spiegare cosa? Mentre lui senza mirare lancia cannonate, io, con tutta la buona volontà di centrare il bersaglio, non posso altro che mandargli il rumore della mia pistola a salve. Pare così forte, nascosto dietro il fumo della sua artiglieria, da persuadermi quasi a credere le mie argomentazioni come dei bei, quanto inutili fiori lanciati a pioggia sul campo di battaglia. Il pesante fracasso di quella bocca appesa sotto il naso a stirargli gl’occhi, obliquamente spalancati a rovesciare il mondo, non può che distogliere la vista dai colori attorno. Probabilmente è una mera questione tecnica. Forse non si rende conto che le palpebre funzionano meglio se schiuse orizzontali.
Limitandomi a raccontarlo in termini di paragone, e tentando quindi di appendergli un’etichetta, potrei definirlo Razzista? E se così fosse, perché non mi sento tranquillo della gabbia in cui l’avrei rinchiuso? La parola ‘Razzismo’ stimola nei miei ricordi storie di battaglie lette e raccontate nei libri di storia. Scene di galee imbottite di schiavi legati ai remi. Afroamericani piegati e sudati come macchie su campi di cotone. Non riesco a non pensare alle tante lotte per la conquista dei basilari diritti civili in America e in SudAfrica, per esempio. Alle manifestazioni non violente di Gandhi. Alla soluzione finale prospettata dal Terzo Raich. Nella mia memoria insomma, vedo il Bianco e vedo il Nero, e tanto Rosso sangue. Riesco a scorgere nitido ogni colore di quell’arcobaleno civile che s’appoggia da sempre sul mondo intero. Adesso pare tutto più difficile. Sarà la globalizzazione a giocare mescolando quei colori, o una moda sociale ricorrente che sta passando esattamente sopra il sole e niente riflette bene come prima, ma, secondo me, il razzista, almeno nel mondo che noi conosciamo, esiste solo in cattività. Ci sguazza, ma nelle mani di un ottimo veterinario e di un accorto guardiacaccia, da lì non scappa.
A dare del razzista ad uno che non abbia lo scalpo di chicchessia in mano, o che non sia accuratamente certificato D.O.C come tale, si incorre nella scivolosa condizione di afferrare un fenomeno con la giusta intenzione di denunciarlo, usando però una pinza troppo grande e pesante perché l’operazione non appaia a tutti quantomeno eccessiva. Detto altrimenti, la sproporzione dei mezzi per la causa, suscita un’ilare indifferenza. Denunciando a sproposito razzisti nascosti in ogni via buia della città, si toglie peso ad un termine cresciuto con la storia, da usare se necessario rompere il vetro e si grazia, con l’impunità pubblica, chi vive nella quotidiana Intolleranza.
Il muro del Razzismo si è frantumato. E’ come fosse esploso in tante minuscole macchie d’olio sulla superficie limpida ed increspata della nostra esistenza. Allo stesso tempo però si è depotenziato disperdendosi, non certo irreversibilmente, nella moltitudine di isole che siamo. E siamo tante. Incapaci fisicamente di organizzare un solido fronte comune, esattamente come della macchie d’olio. Considerate che se i confini di ogni chiazza opaca si stringono, sicuramente si ridimensiona l’uso della valvola razzista, ma nel contempo aumenta la pressione della diffidenza e dell’intolleranza. Le più pericolose sostanze disciolte naturalmente nel sangue umano e che, oltrepassati incerti limiti, lo fanno ribollire.
Penso alla ragazza mentre aspetta il tram. Nascosta tra una folla di cui essa è la figlia di razza. Non si cura apparentemente di nulla, se non della voce al cellulare, il suo mondo nella mano. Non vede, non sente, ma bastano quattro suoi decisi passi indietro, l’occhio dato per disperso che si fa attento e sottile, per capire che s’è accorta della strana famiglia venuta da un extra-lontano. Radunata ad aspettar lì il mezzo, ancor prima che il suo mondo le squillasse in mano.
Che dire della donna di mezz’età imparruccata dalla domenica, che scambia il make up mattutino per il trucco della guerra tribale? Un posto nel bus certamente vale uno sguardo arcigno e una frase scortese ad una giovane indiana.
- Non ti sei marcata gl’occhi di nero-blu per la battaglia sta mattina? - E’ questo il prezzo da pagare, per rivendicare il proprio diritto di cittadinanza, in quest’Italia spalancata e piccolina.
Sembreranno, i miei, nient’altro che esempi sospettosi e paranoici. Potrei procurarvene una lista di ben più gravi, ma svierebbero solo l’attenzione dalla paradossale leggerezza dei fumi tossici abbandonati dal razzismo. Diffidenza e intolleranza si sono sprigionati dopo la caduta di quel muro a difendere ciò che apparentemente rimane del nostro sminuito territorio individuale.
Eravamo i bianchi, i ricchi, i veri cristiani, i detentori del Diritto (a tutto!), i conquistatori della cultura più avanzata. Ignoranti ciascuno la sua parte, ma consapevoli di rientrare in una delle dette magnifiche categorie. Comunque altro, almeno molti lo credevano, dalla restante parte, da quel sottomondo che poteva solo esser colonizzato, ma non salvato. In mezzo, si ergeva a monumento divino, il muro del Razzismo. Ora non può esser più così, e non ritornerà mai diversamente.
Sottocoscienza sappiamo tutti gli uomini essere uguali. Miliardi di cervelli, nasi, occhi, bocche, mani, piedi tutti letti sopra la medesima mappa senza specifico colore, moltiplicati ciascuno per gli altrettanti diversi errori di interpretazione. Ah, stupendi scherzi della natura che siamo!
In casa, in ufficio, o per strada la prova scientifica dell’uguaglianza l’abbiamo sempre con noi. Ma non lo sapevamo. Chi l’avrebbe detto saremo rimasti senza alibi? Frustare il 'negro', anche con le sole parole, come fosse un bastardo randagio e pidocchioso. Pensare all’handicap su due ruote e non all’uomo che portano, assecondando a passo svelto il brivido dei senza speranza. Alzare al cielo la croce per mettere in fuga Allah, non ci è più concesso senza sudare sotto il peso dei sensi di colpa, o senza che qualcuno senta il dovere di additarci al pubblico giudizio. Inchiodati, nonostante tutto, all’incontrovertibile responsabilità verso il prossimo, nostro fratello, gli dobbiamo la dignità d’esser vero come noi. Legittima come la nostra sarà la sua cultura, unica quanto la nostra la sua religione, forte non meno della nostra l’aspirazione ad una sua economia. Il tutto evoluto secondo la sua diversità. Ma allora quest’uomo, ‘nuovo’ solo perché ci si era persi di vista, ma vero adesso come noi, intenderà muovere i suoi legittimi confini verso quale direzione? Invaderà i nostri limiti culturali, economici e religiosi? Oppure vorrebbe allacciarli ai nostri pacificamente? Ci barrichiamo e selezioniamo con maniacale perizia, o apriamo le porte e l’accogliamo? Nella seconda ipotesi, chi ci assicura che quello non ci conquista e deruba? Poche epocali domande con un’unica valida risposta. Chiuderci all’interno non è più possibile. Semplicemente perché è impossibile.
Quell’uguaglianza, questa impossibilità unite dalla incontestabile umana diversità, non possono che generare una viscerale diffidenza. Il biglietto d’ingresso per un piccolo mondo piegato dall’ansia dell’intolleranza, oppure seme critico per coltivare dialogo con la speranza di farlo crescere in una sterminata valle assolata. Oggi, ogni interesse particolare che escluda volutamente altri da evidenti benefici, facilmente è inteso come meschinità semplice e pura. Le voci girano meglio di ieri. Allora mi domando come mantenere i nostri giocattoli senza apparire meschini. Come rubare le caramelle ai bambini 'diversi', senza passare per ladri pervertiti.
Un razzista mi risponderebbe che al randagio non devo nulla, e se intendessi fregargli l’osso non avrei da chiedere alcunché.
La realtà, invece, m’assicura che ora, e mai come adesso, non sono solo affari nostri. Se rubare e tenere, o restituire e offrire.
La scelta sarebbe ovvia, ma com’è ovvio l’animo umano bestialmente ladro, rubiamo, teniamo e ogni tanto restituiamo, non scordandoci di tirare la catenella.
Ciò che spaventa è l’esser proprio tutti così maledettamente uguali.

giovedì 29 maggio 2008

La beltà

Anche oggi a Milano piove, e non è parlare del tempo. Una ex capannone ex fabbrica di chissà cosa mi accoglie e si fa biblioteca. Una pausa da tutta questa luce al neon...
Per chi non lo conoscesse, vi presento Andrea Zanzotto.

da " LA BELTA’ "

AL MONDO:
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa che, cerca di, tendi a , dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso, in me stesso

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu “santo” e “santificato”
un po’ più in là, da lato, da lato

Fa di (ex-de-ob-etc)-sistere
E oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

Su, munchhausen

lunedì 26 maggio 2008

La loro storia

Gloria era per l’uomo della vita
Giulia, nient’altro che due coppe d’abbondanza
fluttuanti sopra un cuore di bambina
Da Laura, nella fretta d’un addio
ho dimenticato l’asciugamano
Lorena meditava fantasie di sesso campestre
L’elenco in cui qualcuna potrà mancare...
Sono donne con cui ho celebrato
segreti inni di intima gloria
in templi scaldati all’alba
d’un sole dal cammino differente
Anfratti accoglienti nel tempo
che per un momento
scordava il nostro diverso destino
Alcune le ho perdute
altre le tengo
o mi tengono ancora.
In mano stringo delle istantanee
che vanno ingiallendo...
Ma i sentimenti
i loro lievi sussurri
si posso fotografare?
Volevi sapere qualcosa di me!...
Ecco, io sono questo, amica mia
Un foglio di nomi sparsi
in appunti di viaggio
per quando tornano i ricordi
E sento che sono niente

sabato 24 maggio 2008

Giorni da clown

Giorni da clown


Alcuni libri te li ritrovi in mano quasi per caso e in ben particolari momenti della vita, che non giureresti davanti a nessuno, pienamente convinto, che sia stata tutta una semplice coincidenza.
Trascorri periodi che ormai hai rinunciato a segnare nel calendario, tentando di abbattere quei muri che sembrano cresciuti con una velocità tale che speri, e altro non puoi pensare, sia tutto un sogno.
Le persone che incontri per strada sono diverse…Interroghi i vecchi amici per capire se sono ancora loro, li ricordi, scorgi le sottili discrepanze con ciò che vedi e dubiti anche di te stesso. Ero io?
Ci sono dei momenti in cui tutto si riduce ad un attimo e ogni cosa, ad ogni ritorno, non ti sembra mai la stessa.
In quei momenti comprendi la vita come un album gonfio di straordinarie coincidenze, fotografate per essere ricordate così, perché non sarebbero ritornate mai uguali. Nel peggiore dei casi, ti avrebbero abbandonato per altre ancora, essendo tutte in fondo nient'altro che storie divergenti di vite che si sovrappongono in un punto, con un tempismo maledettamente perfetto, e per poco più di un istante...
Esci di casa la mattina e anche quel giorno t'accompagni con l'idea di vivere in un istante, e la tua mente s'arrangia come può per accendervi sopra una luce più intensa per cogliere le sfumature che andrebbero perse irrimediabilmente.
Così avviene che un incontro possa quasi soffocarti dalla gioia come fosse per la prima volta e, viceversa un saluto, strapparti una lacrima di malinconia come un addio...

Mentre annusi l'aria
intrisa d'acqua sole ed alghe
seccate sui sassi d'un tardo pomeriggio
trascorso in mezzo al Piave
Ti scopri semi serio
a confessare ad un'amica che sì,
la tua vita è una raccolta di istantanee
che ad appenderle non raccontano una storia
e finalmente hai capito una parte di quel che sei
Però ti senti un po'meno tranquillo di prima
e non ti spieghi oltre
per non respingere, mani avanti
quel sole seducente rovinando l'incontro
L'unica certezza che ti concede
di guardarla negli occhi
scordata la vergogna
per quel che le hai taciuto
sul racconto di mille favole
confuse in appunti troppo sparsi,
è che la tristezza, nata nel nulla
così s'è spezzata
ed ha un senso

Allora hai l'impressione che ti capiti di tutto e ti dici: "Che sorpresa!". Come quando ci siamo parlati su quella panchina, mentre le guardavo la guancia,lei capo chino su dei biglietti del treno, mi sono sussurrato un po' di volte: "Ma tu guarda, chi l'avrebbe mai detto".
Ti sorprendi a tal punto che anche uno come me arriva a chiedersi se debba mai ringraziare qualcuno, uno di cui già da molto tempo ho rifiutato l'esistenza. Ma le cose finiscono e ti senti una piccola, unica parte di un tutto troppo grande e finisci per vederti diverso, e mancare di proposito il tram che portava tutti. Mentre aspetti il prossimo ti leggi un libro scelto distrattamente tanto per ammazzare il tempo, e giungi alla fine che il protagonista condensa in una battuta la stessa conclusione per la quale tu, nei tuoi pensieri, avevi scritto un capitolo di recente:
- Ma che tipo d'uomo sei?, e lui -Sono un clown e faccio raccolta di attimi!
Esattamente come se avessi incontrato un amico che ti sa leggere dentro, ti convinci di non essere poi così diverso, e sicuramente un po' meno solo dell'altro ieri, tanto che adesso diventi impaziente perché il prossimo tram, al solito, ritarda...

venerdì 23 maggio 2008

In te...

In te esiste
il volto di una notte smarrita
scherzando con magia e tormento
Là ogni risposta naufraga bagnata
alle spalle del sole
mentre aspetta che tu decida
Se ti giri, piccola
sarai svelata come nuvola
che si scopre solitaria nel cielo
Vapore d'una mattina d'agosto
dopo aver ascoltato per ore il mare
senza chiudere occhio.
Per sempre resterà la notte
scura nei tuoi capelli
il languore pallido della luna
che ti guarda in viso
e due oracoli inconoscibili
che brillano sottili e lontani
come stelle nell'infinito.
Sono i Cancelli socchiusi senza catene
che un ragazzino appena curioso
varcherebbe immediatamente
Ma chi li oltrepassa
ha le chiavi...
altrimenti è perduto

sabato 17 maggio 2008

17 Maggio

Era un mercoledì che aspettavo. Ad una della solite riunioni studentesche dove tutti parlano. Chi si sbatte perché altri comprendano la sua idea, chi ride ad una battuta del vicino, chi si guarda intorno e forse ha la testa altrove. Io ascoltavo, ma non tutto capivo, come quando hai un pensiero vivace in testa e la quotidianità diventa un suono sordo che ne afferri il senso senza troppi dettagli. Aspettavo una telefonata da un’amica, era quello il giorno, verso il tardo pomeriggio l’ora. Non l’ho più sentita. L’attesa è finita in una voce sconnessa nel silenzio, improvvisamente svuotato di pensieri, della mia. Un’altra telefonata e di quelle sole che non t’aspetti mai, per avvisarmi che quel mercoledì 17, Maggio se n’era andato con lei e la sua sorellina.
Ognuno ricorda secondo se stesso. E questo è il mio fiore accanto alle loro foto, piantato nella notte di quel 17 Maggio. A tratti ingenuo e giovane forse, fino alla fine sincero come un fiore. Le mie stesse parole a leggerle ora le sento ingenue e stupide dentro quel che è successo. Ma mi bastano così come sono, a ricordare ogni momento di quel giorno, e degli impossibili successivi.

17 di Maggio

Questa notte, il silenzio,
spaventa a morte il sonno
ad ogni pesante
passo
d’orologio.
Vedo ancora il tuo strano
piccolo
naso
Le tue guance di velluto
appena...
rosse
I tuoi capelli d’aria
scuri
tanti
arricciati.
Gl’occhi...non riesco
Come pensarli chiusi
adesso, domani, quando verrò lì a salutarti
La prossima volta...
Senza più movimento quei capelli
che avrei passato fra le dita
come un bambino, mano tesa
fuori dal finestrino
ad afferrare il vento.
Sempre più fredda, la pelle
che vorrei accarezzare adesso.
Niente più un sorriso
Niente più respiro
E poco fa dicevi: ”Dai, vieni alla casa!
Vieni! Vieni!...
Alla fine di Maggio...andiamo?”
E la tua sorellina
La piccola
curiosa
gentile
La figlia di Luna.
Siete fuggite assieme, alla Casa
senza aspettare
e senza di noi
su una macchina
che avete parcheggiata
nel cortile dello sfasciacarrozze...
Amica mia, ancora fatico a credere
che con voi, oggi
Maggio è già Finito


Passerà...

Come passerò il primo sonno
che giungerà presto o tardi
sapendo che nei miei pensieri ci sarai tu,
e il sogno s’infrangerà per intero
lacerato tra dei maledetti rottami
tagliati e incollati di sangue?
Dimmi, come?
e tu...
dove sarai?
dove?


Arrivederci

Quando cesseranno d’arrivare
i treni carichi di sorrisi
e amore da dimenticare,
e avrò imparato quale viaggio
e quanto lontano basterà
a riportarli indietro
come non fossero mai partiti,
allora, forse, sarà giunto anche per me
il momento di partire,
di mettermi in cammino per la casa
al primo tiepido respiro
della Fine di Maggio


(La casa si riferisce ad un luogo ben preciso, in Toscana. Stavamo organizzando per trascorrervi qualche giorno tutti insieme, alla fine di maggio)

sabato 10 maggio 2008

Se un bambino...

Caro Diario chiuso nel cassetto,
in questi giorni molti si chiedono ancora perché certe cose accadano. I più rintronati si interrogano su che ministero sia quello delle semplificazioni e come passerà le sue giornate Calderoli dentro tal ministero, consapevoli che le risposte saranno dure da credere se si difetta di fantasia. Però, tutti quelli che hanno il tempo di interrogarsi, cercano anche qualche traccia del preallarme che fatti come quello di Verona meriterebbero. Quali siano i segni che ci avvisano dello tzunami o se dobbiamo accettare sia solo un’onda improvvisa da subire terrorizzati. Com’è possibile che il male sia così assoluto, o banale, in alcune sue dimostrazioni estemporanee di vitalità, che diventa tanto facile sospettare che un ragazzo, preso a calci fino a morire, non sia morto per davvero se non in un brutto sogno? Se non c’ero, non posso crederci. Quasi come chiedersi se dio, il più illustre tra gli assoluti, esista. Perché ci hanno detto che i romeni sono un problema dai tratti dell’essere endemico, forse l’unico ad attentare seriamente alla sicurezza nazionale e va estirpato. Purtroppo nulla ci hanno raccontato sui pallidi ragazzi di pura razza per bene. Quelli di buona e onesta famiglia. Lo sanno bene quelli che hanno votato questa destra, che l’emergenza stranieri per forza esiste nonostante i delitti violenti in Italia siano in netta diminuzione. Una sorta di sfida alle autorevoli aspettative della redazione di ‘Studio Aperto’, ahimé non solo, che doveva spolmonarsi a soffiare nelle rare notizie, pur di sventolare una bandiera in campagna elettorale. Le risposte si trovano ascoltando un po’ a caso i vari salotti. Ne hanno prodotte alcune i nostri cervelli migliori, compreso quello del presidente della camera secondo il quale bruciare una bandiera è fatto assai più grave di un pestaggio mortale gratuito. Anche se va detto, sempre secondo lui, che i fatti da lui stesso menzionati e paragonati, non sono certo da paragonare…Il che mi ha lasciato lievemente confuso e, per afferrarmi ad una misera certezza, ho focalizzato sulla notizia che gli assassini erano una gagliarda banda di fascinazisti. Ah! Il nostro presidente gioca d’azzardo con la sua storia personale e stava solo mischiando le carte in tavola per confonderci il grande bluff. C’è chi ha stigmatizzato quei ragazzi semplicemente come dei delinquenti che andranno necessariamente trattati come tali, in nome della giustizia uguale per tutte le razze. Quella Veronese compresa. A me, caro Diario mio, par di sentire piuttosto un gran sciacquio di mani nel rumore che producono le chiacchiere di questi personaggi, siano essi sindaci o presidenti di regione o peggio, della camera. Non mi spiego altrimenti la riduzione a niente, ad un semplice fatto di cronaca nera, di un accaduto così grave. A meno che non sia questo che intendevano per Ministero della semplificazione. Perché, mettiamoci d’accordo una volta tanto: se sono ragazzi per bene nati di buona famiglia, è difficile parlare di delinquenti della peggior specie alla stregua dei barbari dell’est. E viceversa. Il sillogismo magari gocciola in qualche punto, ma quanto meno dovrebbe far sorgere più di un dubbio, non dico un rimorso, a chi usa le parole con tanta leggerezza. In fondo l’odio assassino di gruppo, appunto perché di gruppo, non nasce dalla follia di un istante, di un singolo che magari accoltella la famiglia. Cresce laddove viene coltivato, l’odio. Poi ciascuno lo raccoglie a modo suo. Chi s’accontenta d’urlarlo allo stadio o al bar, chi non vedendo argini, confini, tra pulsioni spesso ideologiche e realtà, usa anche i calci per risolvere un suo problema. E di coltivatori diretti applicati al settore l’Italia ne è piena. Le loro parole vengono sdoganate come pure esibizioni folcloristiche, talvolta sfruttate a mero uso elettorale quindi buone per cacciare voti. Ma c’è sempre qualcuno preparato a riceverle, a sentirsi esso stesso sdoganato finanche investito di un dovere tutto ideologico e si finisce come a Verona. Penso a chi come il sindaco della mia città, Treviso, per esempio definisce e apprezza i musulmani come un tumore. Un tumore sai che se non lo uccidi prima tu, sarà lui ad uccidere te. Oppure ricordo il giorno in cui dei nazi presero a bottigliate donne e bambini accucciati davanti il duomo per protesta. Il mio sindaco sceriffo disse che erano solo ragazzate. Penso poi al sindaco leghista di Verona che accoglie in consiglio un noto naziskin che si bulla pure d’esserlo e con precedenti penali per odio razziale sulle spalle. La piazza che salutava Alemanno con il braccio teso e il ragazzo che al microfono non prova vergogna e vorrebbe tanto sentirsi fascista vero, e che sfiga non essere nel ventennio. Mi sono rattristato il 25 aprile ascoltando un servizio alla tivù locale. La giornalista chiedeva “Ma liberazione da cosa?” Due su dieci hanno indovinato, uno era dell’ANPI. Stralci brevi di esempi veri, per sorridere quando parlano della morte delle ideologie e piangere allo stesso tempo. Perché l’odio e la paura sono ideologia. Hanno tentato di costruirci un impero sessant’anni fa e c’è mancato poco. Odio e paura fanno massa, e la drogano. I più spregiudicati lo sanno e raccattano voti in un’Italia sempre più impoverita, soprattutto della sua storia migliore che le aveva scrollato di dosso quell’aria di bassa provincia. Diventa ideologia perché forse è vero, come dice un attenta signora Doret's Law Nolte, che se un bambino vive nella critica impara a condannare. Se vive nell'ostilità impara ad aggredire. Se un bambino vive nell'ironia impara ad essere timido. Nella vergogna impara a sentirsi colpevole. Se un bambino vive nella tolleranza impara ad essere paziente. Nell'incoraggiamento impara ad avere fiducia. Se un bambino vive nella lealtà impara la giustizia. Nella disponibilità impara ad avere una fede. Nell'approvazione impara ad accettarsi. Se un bambino vive nell'accettazione e nell'amicizia impara a trovare l'amore nel mondo. Con la benevolenza impara che il mondo è un bel posto in cui vivere
Bambino o cittadino, una domanda soltanto: dove insegnano tutto questo?

venerdì 9 maggio 2008

Senza titolo

Ero bambino
e mi riempivo al profumo
delle acacie al limitare del bosco
Adulto, da sopra la collina
cercavo il mio destino al tramonto
prima che il vate insanguinato
riparasse oltre le pietre
Anche lui a cercar domande
che fossero risposte ai nostri sospiri
Vapori di lacrime ad appannare
brillanti pensieri sparsi
nella notte dell’universo.
Il mio profeta meditava in silenzio
e al buio, io, mi immergevo
nella volta celeste della sua mente.
Nulla è cambiato...
Eppure... Eppure ho nostalgia di un luogo
che credo non saprei riconoscere...
Sono ancora di passaggio?
Alle mie spalle
ho lasciato qualcosa?
Ora non ricordo...
Ho visto molte cose
dormito in letti senza padrone
forse nulla era importante.
Percorro una strada nella notte
che m’accoglie con stelle tracciate
nell’unica speranza dell’incostante cammino
Trovare e tornare in quel posto!
Credendo di abbracciare vite e passioni
che definiscano il senso di un destino
accarezzo i margini del sentiero
Ai bordi rallento e cedo il passo al tempo...
ed ho stretto nient’altro che un soffio
Una spirale di vento sul palmo della mano
mosso al passare di ombre fruscianti
mentre corrono a confondersi tra gl’alberi.
Che fuggano, che non mi vedano
o indifferenti perseguano
il loro libero arbitrio
Cosa importa?
Vorrei capire se tutto questo è scritto
Vorrei leggervi se la solitudine ha un senso
Intendere se per esser nato
l’incomprensibile assoluto umore
che mi porta lontano da ciò che amo
ne sia il giusto compenso