lunedì 21 luglio 2008

Arabìa

La sera del grande D...
Facciamo che non sia sabbia del deserto che scivola tra le mani dopo tanto attraversare. Fermati qui con me, poi parti. Devi, lo so... Porta con te un po' di quella sabbia se vorrai, laggiù ne troverai dell'altra, ma non avrà altrettanta storia del sole e delle notti che sgretolano pensieri e spogliano l'anima, come questa. Lì, ancora lontana, il vento ricostruisce sempre qui e là, ma nulla regge che il tempo di un sogno.
Anche se io scherzo, anche se tu scherzi. Chissà cosa saremo oppure no. Gli uomini non sono sabbia come molti dei loro pensieri.

Io l'arabo

Mi chiama per chiedermi se gli scrivo un pezzo molto breve da tradurre poi anche in arabo per il suo libro. Ho facoltà di liberare il cervello in poche righe, dice. Poche righe in calce ad un romanzo di cui non conosco molto la trama e che comunque leggerò solo a stampa conclusa, ormai manca poco, ma conoscendolo non sarà una guida pratica del buon terrorista.
Con tutta la gente che conosce sono contento abbia chiamato anche me. Come quando l'amicizia ha un valore e le parole pure anche se molti chilometri ci dividono e il tempo che spesso manca.
Un libro non è una salvietta dove scrivi l'istante. Resta. Farvi partecipare qualcun altro è un bel gesto di cui non puoi pentirti.
Ho tempo fino a venerdì per non farlo pentire.
Si lavorerà di sintesi.

mercoledì 16 luglio 2008

Uno fra i tanti

Sono come la Rai d'estate, vanno tutti in vacanza col cervello e manda sugli schermi vecchi filmati a ripetizione, e io pesco dall'archivio.
La differenza è che a me nessuno paga il canone, anche se ho qualcosa di molto simile ad uno schermo su cui proiettare ciò che mi passsa per la testa. Sono tutt'altro che in vacanza e credo che i vecchi filmati sia meglio buttarli fuori dopo, quando col tempo hanno perso quel senso che ti torce lo stomaco mentre li sceneggi nella tua testa. I luoghi sono nient'altro che immagini da documentario, i vestiti ti sembrano passati di moda e rimane forse quella nostalgia per quando il mondo era diverso e c'eri pure tu. Si arriva sempre al momento in cui dici che sì, sono proprio io quello, com'ero buffo con quella faccia da ebete e perché poi... ma ora vado in vacanza, ora sono da qualche altra parte per sempre.
Il grande D ha deciso spesso per me, ora io provo a decidere per lui, e me.




Sul letto uno sbadiglio di cielo
ostinato esplode la finestra
e trascende in fessure e annienta
quel poco rimasto
d’un antico orgoglio
verde, secco, di splendido
scrostato decadimento
infisso contro
alle fatiche di fuori.
Tardi ho incontrato il sonno
e già stanco, annoiato
mi parla il giorno.
Il torpore è una coperta d’amore
appassito nel rancore
di un fiore
che sai... non ti aspetta più
sotto al balcone
E’ cadavere gravido
di quell’odore chiuso
e flatulento
in cui t’immergi,
fesso.
Non pretende che fuggire
trascinato dal sole
rinascere riciclato all’aria
del mattino nudo e pungente
in questo ultimo scorcio d’inverno.
Ma lo stesso...
Perché schiudere quella finestra,
proprio adesso?
Assorto
in sua assenza
passante nei passanti
saresti uno, nel flusso
fra i tanti

lunedì 14 luglio 2008

Macchina randagia

Oscurità
che inghiotti
la mia macchina randagia
Hai visto?
Sono cadute
le prime foglie
secche
morte ancora
sotto i fari gialli
di questo rottame mio fratello.
Ballavo con lei un attimo fa appena
e la musica gitana
s’è spenta
come il sorriso
in un saluto d’addio
alle porte della sagra dell’est
e me ne son tornato al buio
pallido di poche stelle spaurite
dai lievi passi dell’alba...
Siberia che ti sei specchiata per me
in una vernice d’occhi bruni
accompagnati dal destino
Sei quella cameriera
dalla pelle di noce e oliva
con un sogno clandestino
portato in valigia
che brama un giorno regolare
quando di nuovo
il suo violino
il suo uomo intenderà
accordare
" Le cose passano per lui
come se non fossero
A volte lo invidio
E’ tranquillo!
Lo amo? "
Donne che il cuor vi guida
fin dove l’amore
accecato peregrina
Io, io v’invidio!
Non vi capisco
e ho fede in voi
come per un tempio
sacro di maestà e delizia...
Il mio spirito incosciente
nel vostro tabernacolo vaginale
sempre ripongo


(Era stata una lunga sera volata senza ritorno fino a mattina. Mentre tornavo a casa sapevo che non ci saremmo mai più rivisti e l'ho trattenuta in qualche modo. Veniva da molto lontano e stava con il cuoco di una trattoria di paese, una di quelle che sceso il buio le scorgi appena in fondo ad un vialetto di sassi stretti da alberi e fossi. Mi raccontava del suo violino come se fosse la prima volta che un cristo l'ascoltava. Non me ne intendo granché, ma se il suo cuoco cadeva ubriaco dalla sedia io ho capito che lei non suonava solo piatti sporchi, perché nell'angolo misero di mondo sperduto in cui era cresciuta le avevano insegnato a suonare la dignità.
Ed è così che ho ballato una sera sull'erba fino a mattina)

venerdì 11 luglio 2008

Io perdigiorno che non sono altro

Il mio compare sul divano sotto la finestra, appunti in mano, fissa il soffitto. Io disegno pensieri sul muro alle sue spalle, seduto su una sedia tra il tavolo e il divano, appunti sulle ginocchia. Non serve dirlo, ciascuno rimuginando l’equazione di vattelapesca all’una di notte ormai passata.
Lo guardo e mi metto a ridere, sembriamo un po’ pazzi un po’ coglioni -Chi crederebbe che qui non basta solo sputar sangue ad ogni cazzo di esame?- dice. Ci capiamo io e il mio compare.
A chi dice che sono un perdigiorno rispondo solitamente che è vero. Perché cosa dovrei inventarmi per rispondere altro a chi non c’è dentro.
È pur vero che ho perso tempo, ma come funziona il tempo ad ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano per uno come me?
Se sputi sangue per un esame, e sputi qualche goccia anche per altro che vorresti essere ma al momento non puoi perché le tue vene portano quello, per altro che vorresti funzionasse, magari una donna con complicazioni di questo mondo.
Se sputi sangue per almeno due obbiettivi nello stesso tempo, è quasi certo che spari a salve il giorno dell’esame. Ti sei svenato comunque, ma per nulla. Molte volte è successo. Che poi, nella maggior parte dei casi non va nemmeno se l’obbiettivo è quello soltanto.
Questo era ieri. Adesso, dopo tre ore su un foglio a scrivere formule da una riga, incrociando le dita che non fosse per nulla, vado a dormire.
Voi dite pure che non faccio un cazzo. Io dormirò lo stesso.

giovedì 10 luglio 2008

La mia infanzia


L'ho trovata sul corriere. Mi ricorda sempre i misteri della mia infanzia. La campagna, gl'alberi e la notte del buio che non faceva paura. Quella casa nel fondo tra le due bocche la conosco, dietro c'è l'argine, il Piave. Nella mia infanzia c'erano anche loro, quelli che hanno il copyright sulla foto.
Ad una festa de l'Unità, appena dopo il concerto dell'89, mio zio con altri ventenni perparavano lo stand di frasche quasi dedicato ai Pink Floyd, mentre io ancora guardavo i vinili con sospetto come fossero dei dischi volanti. Aspettavo di rimaner solo, arrampicarmi sul giradischi e provare a far girare quella cosa nera che magicamente mi chiudeva gli occhi e mi portava dappertutto.
Ero piccolo, alla festà de l'Unità le signore addette al fritto mi regalavano le patatine per via dei miei capelli biondo platino e perché che caruccio che sei mangia qua... e The Wall mi spaventava. Non ci capivo nulla. Le immagini sull'album di cartone uscivano da un incubo, ma non gli resistevo.

mercoledì 9 luglio 2008

Appunti Frank H C

Ho un delirio in testa di voci che non mi lasciano chiudere occhio sta sera... Solo vorrebbero essere coperte, a tacere, da un breve racconto come messe via nella storia di un fiammella che s'andava spegnendo. Se m'ascoltate, fate come foste a casa vostra. Io parlo, butto lì due appunti e prendetevi una birra. Sono tante lattine nel frigo che ronfa un ronzio da vecchio spolmonato, tutte lì perché le avrete portate voi. Scusate se non v'aspettavo e sono finite.
Inizierei da ieri mattina in cui, pensate un po', mi sono svegliato e come d'abitudine avanzando verso il fornello per metter a bollire del caffé, rintronato accendo il cellulare per connettermi col mondo il prima possibile. Subito suona un messaggio e penso a qualche cristo gentile che mi manda il buon giorno. "Non voglio più saperne nulla di te!"... Tié! Beh, questo chiaramente era sott'inteso...
Certo non m'ha messo l'oro in bocca, però mezza risata è andata bene comunque. In fondo si trattava di una ragazzetta con cui sono uscito poche volte.
E' successo che ieri sera in un momento di pausa stizza l’ho chiamata e ancora mi chiedo perché m’abbia risposto e perché l’abbia chiamata. La piccola già nella voce rantolante esprimeva un rancore che covava dentro da molto tempo, quindi non necessariamente a causa mia. Problemi suoi. In sostanza ci tiene a mettermi in guardia che, a conoscermi, sono una tipica specie di stronzo perché non mi sono fatto sentire come voleva e, credo, cose del tipo una volta al giorno, per tranquillizzarla e assorbire le sue paranoie. Cose del tipo che già sapevo. Ne tiene parecchie in testa e veramente di inutili. L’ultima volta in tram mi chiese se tenevo il telefono acceso metti il caso che alle tre di notte le venisse di raccontarmi un brutto sogno, ed eravamo solo alla terza volta in tram insieme. "A quell’ora di solito dormo". Ci pensa un istante “Ma non lo faresti per me?"... Il punto è che mentre parlava e poco prima che buttasse giù il telefono, mi sentivo quella pesantezza che intendeva farmi capitolare in disgrazia per il solo piacere di origliarmi a soffrire. Ero a casa di amici con altri amici. Cibo, birra e un film demenziale: puttanate. In pochi secondi già pativo la mancanza delle voci dentro l’altra stanza. E poi nulla più; butta giù il telefono.
A volte le persone, quando desiderano qualcuno, forse inconsapevolmente s’arrischiano a farlo soffrire come pensando d’aver conficcato un amo in bocca al pesce e con un po’ di strattoni al filo indebolirlo per avere vita facile nel tirarlo in barca.
A volte, le persone, fanno soffrire altre persone perché quelle vogliono loro molto bene e soffrono nel veder le prime dibattersi in certa incomprensibile malinconia della vita come un pesce fuor d’acqua in cerca d’ossigeno.
Amare significa comunque o soprattutto non far necessariamente soffrire. Piombarle, mentre vorrebbero volare e magari proprio in tua compagnia. Perché tu soffri, perché tu credi di non tenerle ecc...
Che scoperta direte! Beh, no!... Già lo sapevo questo, però devi prima sgombrare la tavola dalle zozzerie della sera precedente. Devi sentirlo in vena che fluisca da solo, naturalmente…per esempio, c’è chi un giorno, un grande uomo, ha confessato d’aver incontrato spesso il male di vivere. E io vi dico che quel male non si può nascondere sotto una garza. Va curato, disinfettato, cicatrizzato. Altrimenti più passa il tempo più puzzerà di marcio e malattia. Io m’annuso e mi par di non puzzare più. E non da ieri.
I giorni scorsi sono stati qualcosa di eccezionale. Un duro colpo l’idea che possa star male la mia Charlotte a cui, per quanto non sia sembrato in questi tempi per via di quell'addio, tengo molto. Contorni aggiunti serviti vari poi hanno fatto il resto. In fin dei conti sono l'uomo radiattivo che rimane tenuto fuori dalla porta d'ospedale.
Charlotte ha pensato un giorno che mi fossi affascinato focalizzato su un lato suo triste... e questa cosa m’ha scompigliato i neuroni perché cercavo Charlotte per tutt’altro. La gioia, la forza e la passione che ci metteva nel vivere, senza sconti. Speravo, forse, ne avrebbe infusa un po’ anche a me che in quel periodo non me la passavo poi tanto bene... Perché in quella voglia di vivere, almeno in quello e scusate se è poco, eravamo d’accordo. Provare tutto e di ogni cosa fino all’essenza. Si incontrano poche donne e uomini così nella vita.
Le persone di certo non nascono per soffrire, però alcune vengono al mondo o crescono tali per sentire più di altre che magari finiscono per scrivere appunti su foglietti sparsi sognando la letteratura vera, perché dentro hanno un mondo di sentimenti loro e presi in prestito, assorbiti come spugna dall’intorno. Ma un giorno sono diventato sordo e s’è messo a fischiarmi il cervello nel silenzio della mia solitudine. Il bello è che non ero solo, ma una botta diversa presa male m’aveva assordato e rincoglionito.
Ora comprendo meglio come non ci dovremmo permettere mai con nessuno un tale comportamento. E dico a me e a voi che non si ruba l'anima agl'altri! Però quando sei nel tunnel senza luci, credetemi, non sai proprio che fare. Un tempo di luci ne vedevo davvero poche. Questione di prospettiva, adesso che mi soffermo a scriverci sopra, mentre allora era così e basta.
Mi sono distrutto, ad un certo punto, convinto che non avessi nulla da offrire, nulla che valesse la pena per altri d’essere preso da me. Capite che quest’idea chiude le mille porte che sfiori ogni giorno in un circolo vizioso e senza scampo, in cui pure quelle oltre le quali una voce invita ad entrare ti vengono sbattute in faccia. Perché in cuor tuo ti sei arreso all’assurdo pensiero che sia inutile, sterile, per entrambi: entrarvi. Senza aver nulla da dare... E' terribile questo ed era il mio problema. La perdita del senso delle cose per cui non valeva quasi nemmeno la pena di svegliarsi la mattina.
Da solo, con le mie mani, mi sono così rinchiuso in una prigione di solitudine e ho buttato via le chiavi. Arrivai al punto che non mi saziava più nulla perché nulla mi serviva più. Rifiutavo il rancio anche se non è poi tanto cattivo come dicono. Figuratevi che capire questo nel tempo trascorso non è un passo da poco. E sappiate che tuttavia sono sereno, semmai ve ne fottesse un niente; ma siete qui con le birre e questo vorrà pur dire qualcosa. Sono preoccupato, torturato, terrorizzato dal pensiero in attesa di quei referti, tutto quel che si può dire insomma, ma sereno. Magari non è il termine giusto "sereno" per intendere più forte senza rinunciare alla sana pazzia ovviamente.

"...Perché quando permettiamo alla nostra luce di risplendere,
inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza automaticamente libera gl’altri."

Non ricordo chi le disse, me le sono portate dentro per molto tempo. Nascoste le osservavo meditando cosa farne, come potessi utilizzarle, piccolo uomo che sono senza fegato.
Ho capito che la luce è diversa cosa e indipendente dalla tristezza o dalla felicità. Sono semplicemente essenze separate, non divisibili, ma distinte. Tanto che ci può esser luce nella felicità che in tristezza. Ma scoprirla, ad altri, è compito nostro. Pena, apparire spenti in modalità stand by, ma in attesa di nulla. La paura è altro dalla malattia, dal male di vivere. Semplicemente è debolezza in conseguenza del non saper più vivere tutto compreso. L’istante. Da qui fino a quando sarà...
Ammetto che sta cosa com'è partita mi rilassa. Io parlo, parlo e -Per dio!- Se non ve n'ho raccontate delle balle poi!
Voi state qui, seduti con me, e non v'importa chi diavolo sono. Siete onesti, sicuro! Perché io sono Francis Hankock Comiso, quello che al bar sta nell'angolo con una birra mezza bevuta in mano e voi non notate mai.
E non chiedetemi da dove vengo perché l'ho scordato, né quando sarei nato perché quel giorno ammazzavano il figlio del vostro Dio, la mattina e anche se pochi erano attorno a me, m'è andata bene: avevo un alibi di ferro. Nessuno poté sospettare della mia buona fede quando dissi " Sono arrivato adesso, io non c'entro".
Mal sopporto chi odia la mediocrità perché di solito c'è dentro fino al collo. Come tutti del resto.
Sono un serpente nel periodo giusto. L'importante è cambiar pelle. Tiene il meglio e prova ad amare, senza troppo odiarlo, quello che ha.

martedì 8 luglio 2008

Ad un amico lontano

Mi chiama per mettermi al corrente sullo stato della casa. Sono arrivati gli infissi e ora possono portar dentro divano e materasso. Io sono qui da qualche settimana e lui mi tiene aggiornato. Come spesso è accaduto, siamo lontanti e non si perde mai un palmo di quel filo che ci muove l'uno verso l'altro fin da ragazzi.

Per mancanza di tempo, per un certo riaffiorare spontaneo di vecchi ricordi, oggi lascio questa, scritta per un buon amico qualche anno fa.




Ad un amico lontano

In un vertiginoso terrazzo grigio
ai bordi di una campagna
sopravvissuta all'asfalto di periferia
Al caldo dei primi pomeriggi di quell’estate
all’ora d’ogni puntuale terremoto aereo
Ricordo finestre in agitazione permanente...
La scossa vibrava i mozziconi
accesi di noi due
seduti a corto di parole
a raccontare l’epilogo
del nostro primo disincanto
Nel vano tentativo d’afferrare un pretesto
per abbandonarci finalmente a guardare oltre
Al di là della balaustra
alle spalle del pensiero di tuo padre
Scrutavamo il tramonto del vecchio orizzonte
spegnere per sempre i suoi riflessi
su vetri di case accecate
socchiuse e stanche
per leggervi una sicura avventura
in un futuro assieme.
Capaci tuttavia di proiettare nella mente
quanto bastasse a rasserenare
i nostri occhi confusi
non sapendo esattamente
essi soli, dove puntare
Forse è lì che ci siamo conosciuti
In quel poggiolo ciondola ancora
quel che siamo io e te
Anche se tutto quello, allora
era quotidiana certezza
e adesso è lontano
abbandonato nel tempo
al ricordo d’un sogno remoto
E d'un tratto ti guardi attorno...
ti rendi conto d'essere piccola vela
in mezzo un mare di gente straniera
senza una mappa dei venti
a cui affidare anche pochi timori
La solitudine spenta sotto i lampioni
nei liquidi riflessi di un viottolo verso casa
placato il coito universale
in una sera qualunque, allegra
cessata la pioggia

domenica 6 luglio 2008

I giorni del grande D

sabato 5 luglio 2008

Ti racconterai

Ti sento arrivare...
strariperai
Sei fiume carsico
sei impossibile da intuire
Di sicuro mi sommergi
adesso
con la tua forza di velluto
Non immagino dove andrai
quando ritornerai
scorri
da qualche parte
intorno
ti sento vivere...
Che tu sia nel cuore della terra
un mormorio dell’aria
o giusto un tremolio dentro me
Rimango ad aspettarti
Quando rispunterai
da chissà dove
chissà quando
Ogni volta
vorrei chiederti
chi sei...
Un giorno
promettimi
ti racconterai

venerdì 4 luglio 2008

Ricordarsi un risveglio

La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.


( Di Sandro Penna. Tratta da " Croce e delizia" 1927-1957)

martedì 1 luglio 2008

Tra vicini di casa

L: se fossimo stati vicini di casa ti avrei invitato a mangiare pasta con wurstel e bottarga! ehehehhehe...
Io: se fossimo vicini di casa avrei portato il melone e la birra...
o preferisci il vino? non dire coca cola...
L: sono molto indecisa tra vino e birra.
Solitamente a tavola preferisco il vino, ma la birra rinfresca
...se fossimo vicini di casa, magari, invece di parlare di sesso avremmo...aha
E' che ho solo quella in frigo in questo momento...scherzo!
Io: Allora meglio il vino. Si, decisamente!
L: Ehggià!
...che bello flirtare! Senza che poi un niente di fisico ti salti addosso...
Io: Uhuh! Meno male che non siamo vicini di casa allora
L: Ehehe...

La libertà di espressione è il fondo. In ogni ambiente, ovvio, ma quando incontri qualcuno con cui puoi non ragionare di essere te stesso o meno, beh, sei quel che sei, birra e vino, città e campagna, metà ingegnere metà altro con fatica di tutto quanto che sentirti così ti ricorda l'idea che puoi tutto, allora dovunque ti porterà andarà bene. Fosse un solo miglio, anche l'ultimo.

Visitommi con un biglietto


Il mio bigliettino da visita secondo L.

Nome Cogonome
Possibile professione: ingegnere
Probabile passione: XXX

Penso che un giorno lo stamperò e lo darò a tutti. Sarebbe come regalare fiori in giro, anche se la gente mi guarderebbe senza capire. Ma pazienza. Non sarebbe una novità.