Un giorno Abdallah mi chiese quanti amici extracomunitari avessi e più che la mia risposta, "Solo te", ricordo che rimasi perplesso di me stesso per non essermi mai posto quella domanda. Eppure non mancano gli extracomunitari nella nostra provincia, ma, come accadono certi incontri, è difficile dirlo.
Ricordo che il discorso volò sulla nostra prima volta, assurda volta che non riporterò perché se in vita vostra avete visto film come "Il colore viola", o non avete ancora smaltito l’odio imprigionato in "Missisipi burning", sarei forse scontato. Vi basti sapere che il tutto si svolse in faccia a chi scrive, tra casa mia e casa sua ed era la realtà. Magari un giorno il mio amico ve lo racconterà, oppure io stesso, ma sarà una storia da non crederci. Piuttosto fidatevi di altro, di quando scrostavo con lo spazzolino impastatrici alle sei del sabato mattina e conobbi l’algerino Mustafà. Il classico gigante delle favole che agli stupidi pare stupido, ma ha solo un cuore grande come le spalle dove sopporta anche il peggio. Il resto della settimana asfaltava strade e con i pochi denti rimasti rovinati dal catrame stringeva una sigaretta dopo l’altra. Sorridendo mi proponeva di tornare con lui in Algeria, perché sognava il suo paese e ci sarebbe tornato con i soldi per piantare un piccolo commercio. Era un uomo come tanti. Amava sua moglie, impazziva d’orgoglio per il figlio e non così tanto per Allah. Si consumava qui per sistemare lì, un giorno, suo figlio. Qualche anno dopo lo ritrovo a bivaccare la vigilia di Natale fuori un bar tabacchi gestito da cinesi, pare non chiudano mai. Mi abbraccia, il nostro incontro gli smuove qualcosa in gola, nei polmoni, agitato tossisce un po’ di imbarazzo e morte e dice che forse quello era l’anno buono per ripartire e mi lascia un numero di telefono. L’Algeria è vicina, suggerisce. Vieni da me… E io non l’ho mai chiamato e chissà poi dove avrò messo quel pezzo di carta con il numero. In fondo, per me, non è stato nient’altro che uno straniero di passaggio in cerca di fortuna come altri più coraggiosi e molto diversi da me. Poteva essere mio padre per la generosità che si portava dentro, ma mi sono sempre giustificato così, troppo diverso da me. Per pigrizia. Paura recondita di quel che non è nel cerchio del ‘noi’ e, se non ci stai attento, invecchi che si restringe fino a soffocarti. Abitudine. Ai volti slavati che dicono le stesse frasi del giorno prima e non si rischia così di andar oltre quel poco che già si sa; certo, il lavoro, i soldi, la macchina a rate, ma come corre! Raramente il mutuo della casa che è impossibile, o stanca, anche sognarlo, il più delle volte il problema è una gonna maledettamente puttana solo perché non si alza facilmente, e se un ‘drink’ ti costa un’ora di lavoro è comunque un affare. Soddisfatto, almeno il ghiaccio era fresco, stringi la mano all’oste che ricambia con quel sorriso che dovrebbe farti dubitare su quanto sei imbecille. Assuefazione a domande del tipo: "Quel posto... Hai presente? C’è bella gente!", e definissero una buona volta "bella gente". Dipendenza dall’aperitivo di sempre, perfino al vino rancido di certe osterie che non ci fai più caso e brindi lo stesso alla quotidianità che spacca il minuto, spesso vuoto quando vedi il fondo del bicchiere, e che non basterebbe una bottiglia a riempirlo, fortuna che sei in mezzo alla gente, a tanta gente, che magari conosci soltanto due o tre dei soliti accampati in strada, ma che importa. Ci sei e il numero conta, se ti senti in perfetto tutt’uno col tuo mondo. Altri saranno sospettati di saluti di plastica eppure ricambi lo stesso, con altra plastica, altra spazzatura che sedimenta. Ma sei tranquillo. C’è un ordine lì nel mezzo al caos delle chiacchiere, un solo colore che è una garanzia di pulito e comprensibile, afferrabile, che ti par di conoscere tutti, anche se stai spasmodicamente cercando da un po’ d’incrociare un paio d’occhi noti, nella massa, per non far la magra figura da palo del tuo amico. E’ comunque la tua gente e questo ti rassicura anche se magari vorresti essere da un’altra parte e non solo per via della noia. Resti. Ipocrita.
Qui davvero non ha più senso Destra, non ha più senso Sinistra. Ci basta essere 'fashion' anche in politica, e non servono altro che i vestiti giusti. Siamo soltanto piccoli, ben inteso, nel nostro piccolo. Perché basterebbe guardarsi intorno e chiedersi dove siano nascoste le centinaia, migliaia, di extracomunitari di cui pure taluni vantano l’integrazione con una fascia tricolore stesa dalla pancia meglio che da una tromba di vento. Dove sono? Mustafà, dove ti sei cacciato? I poverini, gli sfigatini del sud del mondo e tutti e solo una categoria di ‘ini’ da compatire e salvare incondizionatamente, purché non escano della televisione, dal Tg e se ne occupi la polizia. Oppure, non fossero terroristi e galleggiassero nei pressi di Lampedusa, sono clandestini da rispedire al mittente, per non tenerci in casa altri occhi biechi che scruteranno il momento buono per derubarci e vanno sorvegliati a vista, sono quelli che attendono per ore, nelle stazioni, l’arrivo di oggetti già sospettati di non esser bene identificati.
Forse avrei dovuto scrivere delle circostanze hollywoodiane in cui conobbi Abballah, ma non siamo diventati famosi e lasciamo perdere. Probabilmente avreste pensato al mio amico come ad un poverino d’extracomunitario. Non farebbe per lui. Lui è buono, cattivo, poverino come tutti noi.
Soltanto, mentre bivaccate con il bicchiere in mano, a portata di bancone, dovreste chiedervi: dove sono loro? Perché non sono qui? Altrimenti ogni politica sarà salotto, chiacchiere per tergiversare sull’unica domanda che darebbe un senso all’integrazione, e fingiamo non sia una domanda, semplicemente non ponendola a noi stessi.
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venerdì 5 settembre 2008
giovedì 4 settembre 2008
Temporale estivo
Dice:
Sai che stasera ti ho sognato?
E’ la prima volta che ho il piacere di averti in un sogno...
Forse non ce la facciamo a parlare sta volta.
Beh, in caso ti ho parlato stanotte, diciamo...
Ci tenevo a parlarti perché è possibile che domani parta per la Giordania
e chissà quando ci risentiamo.
Volevo raccontarti cose, aggiornarti...
Vabbé xxx mio, sarà per un' altra volta
Sai che tra due settimane sarò fra te tue braccia, fra la tua carne?
Ti stringo forte forte e ti faccio tante coccole...
Voglio che tu sia felice e sereno con me!
ciao xxx
Alcune persone si lasciano scoprire anche così, con una frase senza molte parole, senza coprirti di melassa: "Voglio che tu sia felice e sereno con me".
Parlano e ti lasciano scoperto della tua faccia che non nascondeva nulla. Parlano che ti pare tolgano il tappo ad una diga che non fa paura perché sta volta è resistente, e ti senti fortunato a toccarne la corazza sapendo con certezza che poco oltre, pochi centimetri dalla tua mano, esistono profondità colorate che potrai esplorare con calma e ben accettato.
Non ho fatto a tempo a rispondere. Anche se forse è stato un caso giusto così. L’impressione di un 'post it' appeso al frigo. Un bacio al mattino di qualcuno che è partito lontano, presto ma per un istante, dalla quotidianità.
Il gatto dal divano quasi a pancia in su mi guarda un’ultima volta e poi dorme. Mi sono acceso una sigaretta, mentre qualche goccia di temporale estivo prendeva a picchiettaare sulla mia testa.
Sai che stasera ti ho sognato?
E’ la prima volta che ho il piacere di averti in un sogno...
Forse non ce la facciamo a parlare sta volta.
Beh, in caso ti ho parlato stanotte, diciamo...
Ci tenevo a parlarti perché è possibile che domani parta per la Giordania
e chissà quando ci risentiamo.
Volevo raccontarti cose, aggiornarti...
Vabbé xxx mio, sarà per un' altra volta
Sai che tra due settimane sarò fra te tue braccia, fra la tua carne?
Ti stringo forte forte e ti faccio tante coccole...
Voglio che tu sia felice e sereno con me!
ciao xxx
Alcune persone si lasciano scoprire anche così, con una frase senza molte parole, senza coprirti di melassa: "Voglio che tu sia felice e sereno con me".
Parlano e ti lasciano scoperto della tua faccia che non nascondeva nulla. Parlano che ti pare tolgano il tappo ad una diga che non fa paura perché sta volta è resistente, e ti senti fortunato a toccarne la corazza sapendo con certezza che poco oltre, pochi centimetri dalla tua mano, esistono profondità colorate che potrai esplorare con calma e ben accettato.
Non ho fatto a tempo a rispondere. Anche se forse è stato un caso giusto così. L’impressione di un 'post it' appeso al frigo. Un bacio al mattino di qualcuno che è partito lontano, presto ma per un istante, dalla quotidianità.
Il gatto dal divano quasi a pancia in su mi guarda un’ultima volta e poi dorme. Mi sono acceso una sigaretta, mentre qualche goccia di temporale estivo prendeva a picchiettaare sulla mia testa.
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giovedì 10 luglio 2008
La mia infanzia

L'ho trovata sul corriere. Mi ricorda sempre i misteri della mia infanzia. La campagna, gl'alberi e la notte del buio che non faceva paura. Quella casa nel fondo tra le due bocche la conosco, dietro c'è l'argine, il Piave. Nella mia infanzia c'erano anche loro, quelli che hanno il copyright sulla foto.
Ad una festa de l'Unità, appena dopo il concerto dell'89, mio zio con altri ventenni perparavano lo stand di frasche quasi dedicato ai Pink Floyd, mentre io ancora guardavo i vinili con sospetto come fossero dei dischi volanti. Aspettavo di rimaner solo, arrampicarmi sul giradischi e provare a far girare quella cosa nera che magicamente mi chiudeva gli occhi e mi portava dappertutto.
Ero piccolo, alla festà de l'Unità le signore addette al fritto mi regalavano le patatine per via dei miei capelli biondo platino e perché che caruccio che sei mangia qua... e The Wall mi spaventava. Non ci capivo nulla. Le immagini sull'album di cartone uscivano da un incubo, ma non gli resistevo.
martedì 8 luglio 2008
Ad un amico lontano
Mi chiama per mettermi al corrente sullo stato della casa. Sono arrivati gli infissi e ora possono portar dentro divano e materasso. Io sono qui da qualche settimana e lui mi tiene aggiornato. Come spesso è accaduto, siamo lontanti e non si perde mai un palmo di quel filo che ci muove l'uno verso l'altro fin da ragazzi.
Per mancanza di tempo, per un certo riaffiorare spontaneo di vecchi ricordi, oggi lascio questa, scritta per un buon amico qualche anno fa.
Ad un amico lontano
In un vertiginoso terrazzo grigio
ai bordi di una campagna
sopravvissuta all'asfalto di periferia
Al caldo dei primi pomeriggi di quell’estate
all’ora d’ogni puntuale terremoto aereo
Ricordo finestre in agitazione permanente...
La scossa vibrava i mozziconi
accesi di noi due
seduti a corto di parole
a raccontare l’epilogo
del nostro primo disincanto
Nel vano tentativo d’afferrare un pretesto
per abbandonarci finalmente a guardare oltre
Al di là della balaustra
alle spalle del pensiero di tuo padre
Scrutavamo il tramonto del vecchio orizzonte
spegnere per sempre i suoi riflessi
su vetri di case accecate
socchiuse e stanche
per leggervi una sicura avventura
in un futuro assieme.
Capaci tuttavia di proiettare nella mente
quanto bastasse a rasserenare
i nostri occhi confusi
non sapendo esattamente
essi soli, dove puntare
Forse è lì che ci siamo conosciuti
In quel poggiolo ciondola ancora
quel che siamo io e te
Anche se tutto quello, allora
era quotidiana certezza
e adesso è lontano
abbandonato nel tempo
al ricordo d’un sogno remoto
E d'un tratto ti guardi attorno...
ti rendi conto d'essere piccola vela
in mezzo un mare di gente straniera
senza una mappa dei venti
a cui affidare anche pochi timori
La solitudine spenta sotto i lampioni
nei liquidi riflessi di un viottolo verso casa
placato il coito universale
in una sera qualunque, allegra
cessata la pioggia
Per mancanza di tempo, per un certo riaffiorare spontaneo di vecchi ricordi, oggi lascio questa, scritta per un buon amico qualche anno fa.
Ad un amico lontano
In un vertiginoso terrazzo grigio
ai bordi di una campagna
sopravvissuta all'asfalto di periferia
Al caldo dei primi pomeriggi di quell’estate
all’ora d’ogni puntuale terremoto aereo
Ricordo finestre in agitazione permanente...
La scossa vibrava i mozziconi
accesi di noi due
seduti a corto di parole
a raccontare l’epilogo
del nostro primo disincanto
Nel vano tentativo d’afferrare un pretesto
per abbandonarci finalmente a guardare oltre
Al di là della balaustra
alle spalle del pensiero di tuo padre
Scrutavamo il tramonto del vecchio orizzonte
spegnere per sempre i suoi riflessi
su vetri di case accecate
socchiuse e stanche
per leggervi una sicura avventura
in un futuro assieme.
Capaci tuttavia di proiettare nella mente
quanto bastasse a rasserenare
i nostri occhi confusi
non sapendo esattamente
essi soli, dove puntare
Forse è lì che ci siamo conosciuti
In quel poggiolo ciondola ancora
quel che siamo io e te
Anche se tutto quello, allora
era quotidiana certezza
e adesso è lontano
abbandonato nel tempo
al ricordo d’un sogno remoto
E d'un tratto ti guardi attorno...
ti rendi conto d'essere piccola vela
in mezzo un mare di gente straniera
senza una mappa dei venti
a cui affidare anche pochi timori
La solitudine spenta sotto i lampioni
nei liquidi riflessi di un viottolo verso casa
placato il coito universale
in una sera qualunque, allegra
cessata la pioggia
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venerdì 4 luglio 2008
Ricordarsi un risveglio
La vita... è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
( Di Sandro Penna. Tratta da " Croce e delizia" 1927-1957)
triste in un treno all'alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell'aria pungente.
Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l'azzurro
e il bianco della sua divisa, e fuori
un mare tutto fresco di colore.
( Di Sandro Penna. Tratta da " Croce e delizia" 1927-1957)
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