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mercoledì 16 luglio 2008

Uno fra i tanti

Sono come la Rai d'estate, vanno tutti in vacanza col cervello e manda sugli schermi vecchi filmati a ripetizione, e io pesco dall'archivio.
La differenza è che a me nessuno paga il canone, anche se ho qualcosa di molto simile ad uno schermo su cui proiettare ciò che mi passsa per la testa. Sono tutt'altro che in vacanza e credo che i vecchi filmati sia meglio buttarli fuori dopo, quando col tempo hanno perso quel senso che ti torce lo stomaco mentre li sceneggi nella tua testa. I luoghi sono nient'altro che immagini da documentario, i vestiti ti sembrano passati di moda e rimane forse quella nostalgia per quando il mondo era diverso e c'eri pure tu. Si arriva sempre al momento in cui dici che sì, sono proprio io quello, com'ero buffo con quella faccia da ebete e perché poi... ma ora vado in vacanza, ora sono da qualche altra parte per sempre.
Il grande D ha deciso spesso per me, ora io provo a decidere per lui, e me.




Sul letto uno sbadiglio di cielo
ostinato esplode la finestra
e trascende in fessure e annienta
quel poco rimasto
d’un antico orgoglio
verde, secco, di splendido
scrostato decadimento
infisso contro
alle fatiche di fuori.
Tardi ho incontrato il sonno
e già stanco, annoiato
mi parla il giorno.
Il torpore è una coperta d’amore
appassito nel rancore
di un fiore
che sai... non ti aspetta più
sotto al balcone
E’ cadavere gravido
di quell’odore chiuso
e flatulento
in cui t’immergi,
fesso.
Non pretende che fuggire
trascinato dal sole
rinascere riciclato all’aria
del mattino nudo e pungente
in questo ultimo scorcio d’inverno.
Ma lo stesso...
Perché schiudere quella finestra,
proprio adesso?
Assorto
in sua assenza
passante nei passanti
saresti uno, nel flusso
fra i tanti

lunedì 14 luglio 2008

Macchina randagia

Oscurità
che inghiotti
la mia macchina randagia
Hai visto?
Sono cadute
le prime foglie
secche
morte ancora
sotto i fari gialli
di questo rottame mio fratello.
Ballavo con lei un attimo fa appena
e la musica gitana
s’è spenta
come il sorriso
in un saluto d’addio
alle porte della sagra dell’est
e me ne son tornato al buio
pallido di poche stelle spaurite
dai lievi passi dell’alba...
Siberia che ti sei specchiata per me
in una vernice d’occhi bruni
accompagnati dal destino
Sei quella cameriera
dalla pelle di noce e oliva
con un sogno clandestino
portato in valigia
che brama un giorno regolare
quando di nuovo
il suo violino
il suo uomo intenderà
accordare
" Le cose passano per lui
come se non fossero
A volte lo invidio
E’ tranquillo!
Lo amo? "
Donne che il cuor vi guida
fin dove l’amore
accecato peregrina
Io, io v’invidio!
Non vi capisco
e ho fede in voi
come per un tempio
sacro di maestà e delizia...
Il mio spirito incosciente
nel vostro tabernacolo vaginale
sempre ripongo


(Era stata una lunga sera volata senza ritorno fino a mattina. Mentre tornavo a casa sapevo che non ci saremmo mai più rivisti e l'ho trattenuta in qualche modo. Veniva da molto lontano e stava con il cuoco di una trattoria di paese, una di quelle che sceso il buio le scorgi appena in fondo ad un vialetto di sassi stretti da alberi e fossi. Mi raccontava del suo violino come se fosse la prima volta che un cristo l'ascoltava. Non me ne intendo granché, ma se il suo cuoco cadeva ubriaco dalla sedia io ho capito che lei non suonava solo piatti sporchi, perché nell'angolo misero di mondo sperduto in cui era cresciuta le avevano insegnato a suonare la dignità.
Ed è così che ho ballato una sera sull'erba fino a mattina)

martedì 8 luglio 2008

Ad un amico lontano

Mi chiama per mettermi al corrente sullo stato della casa. Sono arrivati gli infissi e ora possono portar dentro divano e materasso. Io sono qui da qualche settimana e lui mi tiene aggiornato. Come spesso è accaduto, siamo lontanti e non si perde mai un palmo di quel filo che ci muove l'uno verso l'altro fin da ragazzi.

Per mancanza di tempo, per un certo riaffiorare spontaneo di vecchi ricordi, oggi lascio questa, scritta per un buon amico qualche anno fa.




Ad un amico lontano

In un vertiginoso terrazzo grigio
ai bordi di una campagna
sopravvissuta all'asfalto di periferia
Al caldo dei primi pomeriggi di quell’estate
all’ora d’ogni puntuale terremoto aereo
Ricordo finestre in agitazione permanente...
La scossa vibrava i mozziconi
accesi di noi due
seduti a corto di parole
a raccontare l’epilogo
del nostro primo disincanto
Nel vano tentativo d’afferrare un pretesto
per abbandonarci finalmente a guardare oltre
Al di là della balaustra
alle spalle del pensiero di tuo padre
Scrutavamo il tramonto del vecchio orizzonte
spegnere per sempre i suoi riflessi
su vetri di case accecate
socchiuse e stanche
per leggervi una sicura avventura
in un futuro assieme.
Capaci tuttavia di proiettare nella mente
quanto bastasse a rasserenare
i nostri occhi confusi
non sapendo esattamente
essi soli, dove puntare
Forse è lì che ci siamo conosciuti
In quel poggiolo ciondola ancora
quel che siamo io e te
Anche se tutto quello, allora
era quotidiana certezza
e adesso è lontano
abbandonato nel tempo
al ricordo d’un sogno remoto
E d'un tratto ti guardi attorno...
ti rendi conto d'essere piccola vela
in mezzo un mare di gente straniera
senza una mappa dei venti
a cui affidare anche pochi timori
La solitudine spenta sotto i lampioni
nei liquidi riflessi di un viottolo verso casa
placato il coito universale
in una sera qualunque, allegra
cessata la pioggia

sabato 28 giugno 2008

Una mattina all’alba

Erano le sei del mattino
che accarezzavamo l’assoluto
incompreso
dentro di noi
entrambi un po' ubriachi.
Io, triste per l'alcol
e tutto il resto...
" Perchè mi eviti? "
Distratte da un freddo sole
che ormai stava per sorgere
le mie difese mentali
erano crollate molto tempo prima
Ho sbandato quando toglieva il velo alle sue ferite
Ha speso ore a descrivermi
quel soffio d’anima
teso da lei ad altri, offerto.
Passione di parole che nulla scontano
alla realtà che l’ha calpestata,
ignorata nelle notti a precipizio
d’umori incerti, per cuori malati
di battiti rallentati d’ingratitudine
e sangue surgelato.
Alza gl'occhi
soffia nelle mani
cerca qualcuno,
io senza riparo
nell’incessante ricerca
di un’ombra che coprisse
lei dentro me.
Ero il sacco da prendere a pugni
seduto inerme di fronte ad una donna
decisa a sudare lacrime per dimenticare.
Quindi, zitto...
Però come pure le dissi
nemmeno io
stavo tanto bene in quei momenti
durante i suoi dettagli.
Come evitare che lo sguardo ricadesse su di me
non scorgervi il caos tremendo
Vertigine d’uomo sull’orlo del buio...
Ascoltavo lei, dovevo aiutarla
e sentivo me stesso che bisbigliava
"Tu chi sei? Cos'hai?"
E ogni volta rispondevo perchè la risposta è una...

In silenzioso sospetto




(Scritta in un giorno freddo con un'amica. Ne è passato di tempo. Ora sono chiuso in appartamento sopra i libri sforzandomi di trattenere qualcosa che assomigli ad una equazione reale, le finestre sono chiuse per lasciar fuori il caldo e mi basta la lampadina incandescente sulla mia testa ad abbronzarmi, ora sono più consapevole. Guardo questi appunti di viaggio, mi riconosco e penso a quanto ho scavato per nulla. Non ne avevo i mezzi. Non possedevo i protocolli di sicurezza)

venerdì 27 giugno 2008

Un arcobaleno sul ponte della Ghisolfa

Fermi sul ponte della Ghisolfa
in un imbuto di macchine in tre file
Il tizio della Ford sputa la calura
e la cicca dal finestrino
tra decine di rottami di latta
fatti di specchio.
Vedono l’ora
si consolano di progresso
il dopo verrà e forse sarà niente,
oltre il riflesso, non farà male
non importa un accidente.
E' tutto asfalto che cola come appena steso
E' un incessante borbottio di gas
la tosse metallica che ci soffocherà.
I binari della ferrovia corrono, sotto di noi
a nascondersi tra scheletri ferrosi
di antiche glorie locali, ossidate,
le fabbriche della Bovisa.
Dappertutto, un velo di nebbia sul sole
che chiacchierando potresti dimenticartene
ma è sempre lì, la vedi tra i pochi alberi
mosci sul punto di svenire
e accasciarsi contro i palazzi
di ceramica marrone.
Il caldo confonde,
è un'allucinazione che mischia tutto
uomini compresi.
In coda con noi, immobile, sbiadito
beffardo da troppo tempo
il cartellone del Casinò di Campione
Un tir parcheggiato eterno
dove non c'è più spazio
per respirare.
Butta la Marlboro e dice:
"Questa zona verrà rivalutata"
Guardo un vecchio laggiù
ai piedi della tangenziale
s'asciuga le sembianze con un fazzoletto
per tenersele attaccate alla faccia
qualche minuto ancora.
Per mano una bambina.
Soffia in una girandola arcobaleno
e freme per andare, attraversare,
chissà cosa s'aspetta...
Non è tutto uguale.
Accende l'ennesima Marlboro e dice:
"Io comprerei casa, qui. Un affare."
Chiudo gl'occhi,
gira un arcobaleno
Ringrazio un piccolo fiore
perchè non sa che sia
il destino...
Apre se stesso al cielo
sfiora l'infinito che trova
senza confini
verso la fine che prima non c'era

martedì 24 giugno 2008

basta un attimo
per cambiare tutto
girare la medaglia
è un pensiero che dice
lascia perdere
prendi come viene
quel che viene
e anche quel che vuoi
ma fregatene se non va
questo o quello
quel che dicono
e non dicono
arriva altro
sempre
anche se spesso casco
impreco
spacco tutto
deliro
ma...
pazienza
son fatto così
è il mio modo di amare la vita
e chi me la porta
inchinarmi a lei
per ringraziarla del fuoco
che di tanto in tanto
mi mette dentro
sono maledettamente me

e lei disse,
ciao...

te ne vai?

mi piaceva finisse così
vado a dormire

lunedì 23 giugno 2008

Dice a 600Km di distanza

affascinante...
di stile...
anarchico
libero
romantico
passionale

e io che un po' mi conosco...

Testardo...
contro vento...
sapendo che mi torna indietro.

Cosa mi sono perso?

lunedì 16 giugno 2008

L'ispirazione

Se ogni foglio vuoto
scopre un sentiero
che ricordo, conduce a te;
e per una coltre di pensieri
caduti con neve silenziosa,
dalla luna alogena
di questi tempi
chiaroscuri,
nella campagna di fanghiglia
appena verde
che si scioglie
Ti fai sorprendere in attesa,
primavera...
Se scorrendo un verso
ti amo,
nel prossimo so che, per questo,
ti odierò
Se al mattino, sveglio,
spoglio rintronato,
mi manchi,
ma ascolto gorgheggiare
il caffé e distratto
stringo nella mano il conto
che pagherò
in un giorno sporco
di quel che resta
della mia ombra;
custodito
in goccia d’ambra
come insetto che più
non vola...
A sera,
sarai ancora qui
con me?
Sicura che
nulla più di te
si nasconda sepolto
abbandonato nella fretta
da qualche parte...perché
io, nel mio letto,
sognarti d’altro
ancora
non vorrei.
Dimmi cosa t’appartiene,
e lo scoverò!...
Intendo renderlo
a colei che un giorno
uccise il mostro del bosco
incantato tra fatui rovi,
e né dissacrò l’anima
finché fragile, come un dio
cacciato sulla terra,
divenne uomo
inchiodato
in un divino abbraccio
alla propria fine


Scritta nel febbraio di quest'anno, in uno di quei momenti in cui sei seduto sul bordo della strada, vorresti prendere la macchina e andartene, ripartire, ma non hai più una macchina e le tue gambe sono stanche.
A volte, per quelli in gamba invece, sembra tutto quasi semplice, salutare. Lasciare, chiudere in un cassetto la biancheria sporca e andare. Ma io sono di quelli che pensano alla biancheria sporca dimenticata, che prima era bella e l'hai abbandonata. Era solo sporca e nemmeno quello, aveva solo molta umanità addosso.
Mi serve sempre un certo tempo per capire che, in fondo, erano solo calzini e qualche paio di mutande.

sabato 14 giugno 2008

Fame di parole

M’è venuto di postare questa scritta anni or sono e della quale tra un po’ ricorre l’anniversario.


Fame di parole

Il suo cuore s’è accasciato, stanco.
E noi galleggiamo in sala d’attesa, drogati
da quel rassicurante odore
d’alcool disinfettante
e il sibilo cadenzato, regolare
di un nonnetto col polmone bucato
che costringe i minuti
al loro passo
incerto.

Avviene che anche oggi
mi nutro di parole
Parole di promesse
Fraintendimenti
in scommesse
Presagi di morte

mercoledì 11 giugno 2008

Il mio regno per un cavallo

Cos’è l’amore, infine?

Aver amato, amare, e dirsi che è giusto così. Che presto o tardi lei stia pure con un altro, se sarà davvero felice. Perché quel che io sento non conta nulla, se non la farebbe sorridere ancora su quella panchina con me.
Amore è cambiare se stessi grazie a qualcuno e smettere di pensarlo con parole simili a "il mio regno per un cavallo".
Ecco, in qualche giorno, mentre costruisco la mia vita, i miei pensieri deraglieranno ancora d’amore imberbe, d’amore naturalmente egoista, perché l’amore è anche egoista, ma credo che se arrivi a dirti questo, dopo le lacrime, dopo tutto quello che può essere successo, allora puoi pensare che quella persona per te davvero conta.
Sopra ogni altra cosa terrena. Sopra ogni tua goccia di sangue caduto a quel primo pensiero.


Ora viene la laurea e il cambio di città, così è scritto, così è deciso.

sabato 7 giugno 2008

Ogni parola

Ogni parola
una poesia anche non mia
sono parti di me che cadono
nei lievi solchi della vostra terra
Sono io annunciato da una preghiera
e stendo le mani per scaldarle con altre
Le vostre...
Un'alchimia che darà consistenza solida
al caso che creò il mondo
e ci ha abbandonati
in questo tempo
finché un vento più forte
non si porterà via
anche la nostra sabbia...
A turbarmi è il mio silenzio.
In certi istanti
pare zittire il mondo attorno
come se aspettassi il fischio del vento
Qualche secondo
sterilizzato d'incanto
in un'isolata atmosfera sottovuoto
e poi il rumore ritorna
Le auto borbottano tutto il loro malessere
Le voci mi rincorrono, gli occhi s'incrociano
e vorrei abbracciare gli uomini
per il fatto d'esistere
lì e adesso
Baciare una donna
solo perché la fortuna
l'ha portata accanto a me
Bere un calice
con la parsimonia
di chi conosce
il sapore un po' amaro
del sangue ancora vivo.

venerdì 6 giugno 2008

E mi sembra ogni centimetro al suo posto

Le sere semplici come questa, ad ascoltare la pioggia in silenzio con Sabrina, seduti sui gradini che danno sul cortile, arrivano che non ci credi. Che parole servano, per dire cosa, non interessa più. E mi sembra ogni centimetro al suo posto. I peruviani hanno traslocato oggi qui di fronte, all’altro lato del cortile, e sistemano vecchi mobili anni settanta, girano materassi, ma non scorgi chi li porta mentre passano a turno alla finestra. S’impartiscono ordini sconnessi l'un l'altro, attraverso un pezzo di cucina, uno si pesta un piede, impreca e io mi sento vivo. Lassù, al terzo piano, la biancheria dei cinesi cola dimenticata sul balconcino. Il fritto arriva e da quale fessura verde illuminata non lo saprei dire. E’ tutta vita nascosta col velo di sposa, è presenza vicina, pudica, ma ho l’impressione si curi di avvisarmi che è qui con me, questa sera. Un padre al figlio che gli urla - Imbecille, non lo dovevi fare!- replica più rassegnato che arrabbiato - Stronzo, sono tuo padre!- e un bambino, oltre la tenda parasole al piano di sotto, piange... dal fondo di luce ombrato, tra gl’alberi, tacchetta il passo di una donna invisibile sotto l’ombrello, ci scorre di corsa a due passi, senza badare a noi e ricordo che c’è tutto, è tutto a posto.
Un bambino piange e qui la vita è tutta. E’ tutto qui un mondo tornato anche col pancione del vecchio bianco seduto qualche metro sulla mia testa. La canottiera, quel pelo esibizionista, ma che importa, se qui ciascuno è a casa sua. Non è Milano questa. Non nasconde ciò che è. L’avevo persa di vista tanto che mi chiedo dove sono stato, e come a volte capita per un sogno, non so rispondermi. L’ho scordato proprio sta sera.

lunedì 2 giugno 2008

I nostri padri

Sono nati
e avevano fame.
Si lottava per un letto
un tetto e un pezzo eppiù di pane.
Sono cresciuti
sotto un tetto, con una moglie
un letto e una cucina in affitto
Chiusi in una fabbrica dove il tempo
si stringeva attorno ad uno soltanto,
il padrone, che affrancava nel profitto
la propria fame gettando nel piatto
un misero tozzo di rancido pane.
E quasi in silenzio
borbottava uno stomaco
appeso appresso all’altro, alla catena
del rumore a martello come di sangue,
alle tempie, il brusio del fischio
ad alta pressione
Per otto ore...
Ma sono vecchi, e scordano l’indigenza
e le dottrine di chi poco ha ottenuto
oltre un po’ di tossica sussistenza.
Padri che siete, raccontateci... A noi, che rimane?
E non dimenticate nemmeno le polveri della guerra
che i vostri scrollarono su di voi, affinché nulla
di ciò che restava del dolore fosse perduto
dentro il vestito della ritrovata festa.
" Sopra macerie di dottrine crepate
giacciono in pace, perché
sono nati, e senza fame,
dentro una vita
presa in affitto "
Dite qualcosa
che strida nel sonno
prima che questo sia l’inciso
alla nostra ignota generazione

lunedì 26 maggio 2008

La loro storia

Gloria era per l’uomo della vita
Giulia, nient’altro che due coppe d’abbondanza
fluttuanti sopra un cuore di bambina
Da Laura, nella fretta d’un addio
ho dimenticato l’asciugamano
Lorena meditava fantasie di sesso campestre
L’elenco in cui qualcuna potrà mancare...
Sono donne con cui ho celebrato
segreti inni di intima gloria
in templi scaldati all’alba
d’un sole dal cammino differente
Anfratti accoglienti nel tempo
che per un momento
scordava il nostro diverso destino
Alcune le ho perdute
altre le tengo
o mi tengono ancora.
In mano stringo delle istantanee
che vanno ingiallendo...
Ma i sentimenti
i loro lievi sussurri
si posso fotografare?
Volevi sapere qualcosa di me!...
Ecco, io sono questo, amica mia
Un foglio di nomi sparsi
in appunti di viaggio
per quando tornano i ricordi
E sento che sono niente

venerdì 23 maggio 2008

In te...

In te esiste
il volto di una notte smarrita
scherzando con magia e tormento
Là ogni risposta naufraga bagnata
alle spalle del sole
mentre aspetta che tu decida
Se ti giri, piccola
sarai svelata come nuvola
che si scopre solitaria nel cielo
Vapore d'una mattina d'agosto
dopo aver ascoltato per ore il mare
senza chiudere occhio.
Per sempre resterà la notte
scura nei tuoi capelli
il languore pallido della luna
che ti guarda in viso
e due oracoli inconoscibili
che brillano sottili e lontani
come stelle nell'infinito.
Sono i Cancelli socchiusi senza catene
che un ragazzino appena curioso
varcherebbe immediatamente
Ma chi li oltrepassa
ha le chiavi...
altrimenti è perduto

sabato 17 maggio 2008

17 Maggio

Era un mercoledì che aspettavo. Ad una della solite riunioni studentesche dove tutti parlano. Chi si sbatte perché altri comprendano la sua idea, chi ride ad una battuta del vicino, chi si guarda intorno e forse ha la testa altrove. Io ascoltavo, ma non tutto capivo, come quando hai un pensiero vivace in testa e la quotidianità diventa un suono sordo che ne afferri il senso senza troppi dettagli. Aspettavo una telefonata da un’amica, era quello il giorno, verso il tardo pomeriggio l’ora. Non l’ho più sentita. L’attesa è finita in una voce sconnessa nel silenzio, improvvisamente svuotato di pensieri, della mia. Un’altra telefonata e di quelle sole che non t’aspetti mai, per avvisarmi che quel mercoledì 17, Maggio se n’era andato con lei e la sua sorellina.
Ognuno ricorda secondo se stesso. E questo è il mio fiore accanto alle loro foto, piantato nella notte di quel 17 Maggio. A tratti ingenuo e giovane forse, fino alla fine sincero come un fiore. Le mie stesse parole a leggerle ora le sento ingenue e stupide dentro quel che è successo. Ma mi bastano così come sono, a ricordare ogni momento di quel giorno, e degli impossibili successivi.

17 di Maggio

Questa notte, il silenzio,
spaventa a morte il sonno
ad ogni pesante
passo
d’orologio.
Vedo ancora il tuo strano
piccolo
naso
Le tue guance di velluto
appena...
rosse
I tuoi capelli d’aria
scuri
tanti
arricciati.
Gl’occhi...non riesco
Come pensarli chiusi
adesso, domani, quando verrò lì a salutarti
La prossima volta...
Senza più movimento quei capelli
che avrei passato fra le dita
come un bambino, mano tesa
fuori dal finestrino
ad afferrare il vento.
Sempre più fredda, la pelle
che vorrei accarezzare adesso.
Niente più un sorriso
Niente più respiro
E poco fa dicevi: ”Dai, vieni alla casa!
Vieni! Vieni!...
Alla fine di Maggio...andiamo?”
E la tua sorellina
La piccola
curiosa
gentile
La figlia di Luna.
Siete fuggite assieme, alla Casa
senza aspettare
e senza di noi
su una macchina
che avete parcheggiata
nel cortile dello sfasciacarrozze...
Amica mia, ancora fatico a credere
che con voi, oggi
Maggio è già Finito


Passerà...

Come passerò il primo sonno
che giungerà presto o tardi
sapendo che nei miei pensieri ci sarai tu,
e il sogno s’infrangerà per intero
lacerato tra dei maledetti rottami
tagliati e incollati di sangue?
Dimmi, come?
e tu...
dove sarai?
dove?


Arrivederci

Quando cesseranno d’arrivare
i treni carichi di sorrisi
e amore da dimenticare,
e avrò imparato quale viaggio
e quanto lontano basterà
a riportarli indietro
come non fossero mai partiti,
allora, forse, sarà giunto anche per me
il momento di partire,
di mettermi in cammino per la casa
al primo tiepido respiro
della Fine di Maggio


(La casa si riferisce ad un luogo ben preciso, in Toscana. Stavamo organizzando per trascorrervi qualche giorno tutti insieme, alla fine di maggio)

venerdì 9 maggio 2008

Senza titolo

Ero bambino
e mi riempivo al profumo
delle acacie al limitare del bosco
Adulto, da sopra la collina
cercavo il mio destino al tramonto
prima che il vate insanguinato
riparasse oltre le pietre
Anche lui a cercar domande
che fossero risposte ai nostri sospiri
Vapori di lacrime ad appannare
brillanti pensieri sparsi
nella notte dell’universo.
Il mio profeta meditava in silenzio
e al buio, io, mi immergevo
nella volta celeste della sua mente.
Nulla è cambiato...
Eppure... Eppure ho nostalgia di un luogo
che credo non saprei riconoscere...
Sono ancora di passaggio?
Alle mie spalle
ho lasciato qualcosa?
Ora non ricordo...
Ho visto molte cose
dormito in letti senza padrone
forse nulla era importante.
Percorro una strada nella notte
che m’accoglie con stelle tracciate
nell’unica speranza dell’incostante cammino
Trovare e tornare in quel posto!
Credendo di abbracciare vite e passioni
che definiscano il senso di un destino
accarezzo i margini del sentiero
Ai bordi rallento e cedo il passo al tempo...
ed ho stretto nient’altro che un soffio
Una spirale di vento sul palmo della mano
mosso al passare di ombre fruscianti
mentre corrono a confondersi tra gl’alberi.
Che fuggano, che non mi vedano
o indifferenti perseguano
il loro libero arbitrio
Cosa importa?
Vorrei capire se tutto questo è scritto
Vorrei leggervi se la solitudine ha un senso
Intendere se per esser nato
l’incomprensibile assoluto umore
che mi porta lontano da ciò che amo
ne sia il giusto compenso

venerdì 25 aprile 2008

Quell'Amore

Amore
vive per sé
preso in un circuito
esistenziale
Il tempo
non ha cuore
e così lui corre
cieco
e mai
tranquillo
muore.

Fuggi straniero
per città inesplorate
cercando un seme
che coltiverai altrove
Annusando un profumo
che da lui ti porterà lontano
e verso un altro fiore...
Ma il tuo respirare è vano
Soffocato questa sera
in un sorriso che non scordi
e ti cerca con lei...
Vien appresso a te annunciato
dalla voce sentita un tempo
dentro fin dove il mostro s’è svegliato
Quel giorno in cui un parola bastava
a spezzare in due il mondo
Tu.....................Lei
e un addio al confine.

Vien appresso a te
Guarda Attende... la crepa
su quel muro di pietra
prima dell’oblio
E scava ricordi che ti sei taciuto

Lacrime infine

domenica 20 aprile 2008

Sopra un treno

Scollato dalla realtà
senza colpe senza saperlo
ti ritrovi in un binario parallelo
a viaggiare sopra un treno
da cui s’intravedono altri passeggeri
dentro ad altre carrozze
verso altre stazioni.
Distratto dall’illusione
frastornato nel movimento
sei convinto che tu
proprio tu
stai andando dove chiedevi
e sfidi l’attesa leggendo
nei volti che scivolano accanto
i motivi delle gioie e delle tristezze
che disegnano sulla pelle
un senso al prezzo del biglietto.
Ma distolto lo sguardo, in un istante
quelli sono già perduti
lungo rotaie inghiottite dal tempo...
Era mai accaduto che svanissero, così?
Le valigie che sbattono
le voci rinfuse in un sibilo
carte di giornali che s’accartocciano...
niente, ma dove?
Ehi, tu! Svegliati e fa quello che devi!
“Documento di viaggio, prego”
L’uomo col cappello del capitano è impaziente
“Mi sente? Prego, favorisca il biglietto!”
Ora, mio caro stupefatto passeggero
hai indugiato troppo a lungo
in questa stazione sparsa
di mozziconi ancora fetenti
dei tuoi dubbi sul ritardo di lei,
veditela con lui!
Vorresti esser lontano con loro?
Esserti procurato un biglietto simile
e scelta una carrozza con sedili imbottiti?
Ti rendi conto che hai vissuto
nell’illusione ottica di due treni
che sfrecciavano l’uno accanto all’altro
mentre il tuo, in realtà
chissà dove chissà quando s’è fermato
in una città di fantasmi,
che si divertono a giocar con te
perché sono belli, ma anche morti
sono ricordi e nient’altro più?
Ti nascondono una verità misera e secca.

Lei qui, non arriverà


sabato 19 aprile 2008

Da qualche ora non piove...

Da qualche ora non piove
e sulla strada scura giocano
colorati e tremuli barbagli
caduti dalle vetrine, dai lampioni
dalle poche finestre ancora accese.
Sono i vetri di una chiesa
esplosi in quell’universo
che mi cingeva
ragazzino
sopraffatto anche nell’anima
dalla sua confortante
monolitica
grandezza
Adesso, basta un lieve vento fresco…
Porta con sé lo sferragliare
liquido di un tram
La corsa di un’auto
che fugge via
nel fruscio di un’onda
che ritorna per dissolversi
dov’era partita
Uomini sui marciapiedi
a litigare per inerzia e futilità.
Suoni abissali
confusi
in un gorgoglio
catturato ad un angolo
della mia città
Sembrano giungere da molto lontano...
a disperdere i miei pensieri
A lasciarmi vuoto di tutto me stesso
Qualcuno
chissà dove
avrà spalancato una porta
e il mio mondo
scivola via
scomparendo
diluito nel sospetto
che il nulla pesi
quanto l’universo intero
E che l’uomo
è
forse
la sua opera bella
ma si guarda allo specchio
ignorando
che di lui
esiste
solo
il riflesso
di un sorriso divertito
del caso