lunedì 11 agosto 2008

Arabìa 2

L sta imparando a conoscere le loro abitudini e stanca, dopo una giornata di deserto, s'è addormentata distesa sopra una tappeto nel cortile di uno di quei beduini che l'accompagnano nel viaggio. Indietro nel tempo almeno di un'ora, mentre L sogna con un turbante azzurrino ora fatto cuscino, la mia avventura, non certo priva di rischi, è vuotare nell’olio bollente entro mezz’ora un sacco di patate surgelate appeso dondolante ad un ramo di ciliegio, piantato, come fosse nulla, a qualche migliaio di chilometri di distanza dal primo pezzo di terra desertificato come si conviene.
Ieri sera ero a cena in giardino con dei cugini e i miei vecchi fino all’una di notte e passa, con uno zampirone acceso sotto il sedere perchè qui, oramai, si sopravvive o noi grandi e grossi o loro, le tigri da microscopio. Una di quelle serate facili perché se ci giocavi da piccolo e poco oltre con i miei parenti, anche se ti vedi due volte l’anno, se n’è combinate così tante in passato che ogni imbarazzo sarebbe pura invenzione per il gusto di farci incazzare. Di tanto in tanto sono confluito in una storia strampalata. Ho ascoltato quella dei gatti canterini. Quella del presidente della Fondazione Cassamarca che a sentir quella vecchia zitella del cugino di mia madre, una volta per dessert si fece portare un intero panettone caldo solo per lui. Un uomo col cervello nella pancia e tutto perché al tempo della Dc si usava piazzare uno qualunque pur di piantare la proprio bandiera lassù in cima, ma soprattutto si usava piazzare qualcuno e questo, anche oggi, fa discutere a tavola.
Di tanto in tanto perdevo il filo cercando di ricordarmi anche il profumo di quei riccioli neri che in vita mia forse ho veduto solo grazie ad L, ora presi, laggiù, nelle complicate evoluzioni di un turbante. Respiravo, tanto per non ammazzarmi di zampirone, per digerire i veleni di una giornata qualunque, ma qualunque in un passato remoto che ricordo fin troppo bene per inalarne ancora. Sono ritornato fino alla nostra prima volta, con L, come in cerca di ossigeno, la prima volta della mia mano tra i suoi capelli freschi d’erba e pure meditavo per venirne a capo sulle funzionalità di un tappeto nel mezzo del giardino di un beduino.
Mi sono risintonizzato nel circuito delle chiacchiere proprio quando la vecchia zitella raccontava di quella volta, la migliore della serata, che accompagnò un suo amico, macellaio di Treviso, nell’ardita missione che richiese tutte le sue abilità di ex assessore democristiano per convincere le molte guardie del Papa, in vacanza a Lorenzago, poco inclini a credere che loro effettivamente erano lì, e dovevano passare, per consegnare delle speciali bistecche di manzo a sua Santità. Chissà poi perché un macellaio di Treviso dovrebbe scalarsi una montagna per consegnare delle bistecche, ma nemmeno il nostro ex onorevole sapeva risolverci questo dubbio e il macellaio probabilmente già dormiva. Che poi se una storia è divertente chi se ne frega dei dubbi e comunque arriva un messaggio di L, nel cellulare perso tra le bottiglie di cabernét, in cui dice che se io non fossi quello che sono non avrebbe motivo di aspettare due mesi, rimaner fedele, né di desiderare solo me. Beh, postilla pure con una preghiera in cui mi implora di non buttar su pancia oltre la misura con la quale mi ha abbracciato l’ultima, vista la mia età, e di non impegnarmi troppo con la masturbazione...ma tant’è, ché ti vien da pensare che certi fatti non accadano mai per caso, o comunque vada, sono dei piccoli segnali da tener d’occhio.
Se io non fossi quello che sono mi chiedo cosa cambierebbe. In questi anni se una cosa ho capito è che il più delle volte le persone vedono in te quello che vogliono e magari non vedono in te quello che dovrebbero, il tuo punto forte, vero, che le legherebbe a te per sempre. Una donna potrebbe innamorarsi di te nello stesso istante in cui qualcun'altra ti considera pazzo, stronzo ecc ecc... due estremi in cui mi ritrovo nel mezzo con la mia verità. Beh, tra altre due verità, ovvio.

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