venerdì 28 marzo 2008

Ne succedono di cose...

Caro Diario,

ne succedono nel mondo di cose che due senza dio come me e te non controlleremo mai e ci fanno arrabbiare…Tanto che in certi momenti di buio e solitudine la vita mi pare un brutto mostro, musone e irascibile, che gli serve un sol colpo di coda per mettermi sotto se quel giorno gli gira male. Poi lucido i pensieri quanto basta per dare un’occhiata a quel che succede di fuori e sorrido, della mia stupidità, della mia presunta fatale malinconia: scopro che sono fermo, avevo solo smesso di cavalcarla quella scorbutica bestia che mi porta spesso dove vuole; e non posso certo odiarla proprio per questo...Dove sparano sono quello dietro la cassa che ansima e prega anche il dio che non ha. Là rubano, sporcano o si raccomandano e sono quello che si chiude la porta alle spalle, perché che vuoi che sia se fan tutti così. E’ il sistema! Soprattutto chiudo un occhio oggi per non avere grane domani. Impicci che in fondo non sono merito mio. E così nel mondo basta anche la nostra Italia a spaccarci il fegato con la sua politica degli "a volte ritornano, ma anche spesso e volentieri". I suoi rifiuti tossici nemmeno poi tanto abusivi perché nessuno ha visto niente, nessuno denuncia niente. A pochi metri, cento passi, ma che conviene a tutti fingere nascosti dietro un muretto di pochi centimetri pur di coltivare tre righe di fragole. Si comprende perché convenga a tutti dire "governo ladro!", senza mai un sano "mannaggia a me che pensavo il senso del civico fosse solo un numero appeso fuori di casa, e gliel’ho lasciato fare". E alzi la mano chi l’ha visto su Report! L’Italia e i suoi prezzi che al supermercato ti metti in fila alla cassa più lenta, sperando che lo sguardo telescopico della cassiera non si fissi su di te, ancora preso nel dubbio da risolvere quanto prima se…me li prendo o meno i preservativi di marca? La sicurezza certo, ma…quanto costa! A quel punto vorrei finalmente un poliziotto di quartiere sotto le lenzuola, ma la mia voglia di vivere non è di queste parti, figurarsi il quartiere tra le gambe che forse a Baghdad la situazione è più tranquilla. Comunque sia, la colpa è chiaramente del petrolio che sale e le mie mutande che fluttuano in borsa manco fossero uno Zeppelin in fiamme. In definitiva vale sempre che tana libera tutti, o quasi tranne te, e tu ti chiedi perplesso: perché?. Ma poco importerebbe di tutto questo se servisse a qualcosa parlar con te, Diario mio, della donna che ho perso, che ho trovato un anno e ho perso e se n’è andata un giorno che mi pare ancora ieri, ma cosa intendeva poi con la storia della macchina che non gira, non lo so. Io le donne non le capisco molto, forse quanto te, che una donna non l’hai mai avuta. E’ scesa dalla mia 205 e la porta s’è pizzicata il nostro addio con il nastro legato al regalo del mio giurato eterno amore. Ora però rifletto che m’importa di tutto e niente, assaporo il vuoto nel pieno e viceversa, la vita com’è, e pure quel che non c’è. Intime profondità di schiene che forse avrò, rotondi, molli, sodi, seni che bacerò, ma in tutto ciò ancora disapprovo la guerra quanto detesto le battaglie ipocrite di quelli come Ferrara, che perdessero almeno il pelo se non il vizio di metterci la faccia a qualunque costo. Così, allo stesso modo, eviterei volentieri coloro che stringono sempre la medesima croce dietro lo stesso scudo da cinquant’anni e ormai segnano il passo di una moda politica stile ritorno dei templari, ma sono solo sepolcri imbiancati o forse è quella una maschera, perché si dica che sono delle muffe ben conservate, piuttosto che ipocriti mal celati. Dai, quelli che difendono la famiglia degl’altri scordandosi d’averne più di una nascosta a soffocare nell’armadio e giurano a gran voce "Io mi batto contro la mafia!", ma sfigatamente baciando a destra e a manca, vasa vasa lì e qui, si fanno proprio quelli a cui il favoreggiamento forse è, più che altro, un cannolo nel sedere ai milioni di italiani che ci credono, davvero, all’avveniristico sbandierato cambiamento. Ma…ma sappiamo entrambi che quelli sono nulla e c’è di peggio. C’è di peggio che a casa nostra quelli come me e te si sono fermati troppo a borbottare in salotto per un amore finito con lo 'strapp'; per le ascelle del capoufficio che puzzano di rancido, mentre ti sbraita in faccia che sei un buono a nulla e pure sputacchia come uno zio da cartoon giapponese. O sognamo la collega che ce la darà si o no, chissà! Oppure l’aperitivo, come mia nonna per il vespro, immancabile, accordiamoci dove e quando! C’è di peggio perché parliamo bevendo fino in fondo i servizi di cronaca ormai cronica dei tiggì, doverosamente nell’ordine, poco prima dei leggendari salvataggi del delfino Flipper, che forse arriva spiaggiato alla pensione. E fossi normalizzato come tutti gl’altri dovrei pure arrivare a chiedermi che fa la politica in questi casi perché, in fondo, a che serve la politica? Dov’era la politica se nemmeno un Flipper arriva più alla pensione!? E via di questo passo annaspando per la sensazione di galera che ci portiamo dentro, facciamo altro che presumere ci abbiano legato mani e piedi per giustificare la nostra, spesso vile, percezione di impotenza ai piedi delle nostre pigre illusioni di vittoria. La casta. La chiesa. I giornali. L’effetto serra venuto da Marte. L’onnipotenza imperiale dell’impero austroungarico. Senza sospettare un istante che ci siamo ingabbiati con le nostre mani standocene seduti nel nostro stanzino sempre troppo piccolo, nonostante gli osannati miracoli di internet. Ché tutte quelle cose siamo noi, e se sono lì, ce le abbiamo messe noi. Se sono lì, è perché hanno occupato un posto che non abbiamo preso noi che potevamo essere meglio del peggio che ad ogni votazione lamentiamo ci tocchi in sorte. Se sono lì è perché non glielo abbiamo impedito e lasciamo fare. Con le nostre scelte senza sapere quel che si votava, quello a cui dicevamo di sì. E taluni la chiamano disinformazione. Tutte le volte che restiamo anziché andare...andare nel mezzo della festa a offrire le nostre opinioni in merito e dire in faccia a quello impomatato -Ma che diavolo stai dicendo?

martedì 18 marzo 2008

Non esisti

... Sono andati
Abbiamo riso
abbiamo bevuto
abbiamo...

Gl’occhi dormono
scoperti
in sogni eccitati
dal chiasso dei mille
sorrisi sciolti
nel rosso tinto
scadente,
anche fosse
veleno.
Una sera andata
come un’altra
Corsa nel sangue
a spingere il cuore
al limite che un giorno
forse, lo scoppierà,
ed esce filtrata
con quel poco che resta
direttamente nel cesso.

E ora...
penso al solo
che non riderà
mai più.
Ti pare giusto?
D’un tratto giunge
il vento da nord
da lassù
e scrollo le spalle,
il freddo,
fino a quando
sarò costretto
a chiudermi
stretto al tepore
di quella bocca
che m’ha attirato a sé
un giorno
per esser ascoltata,
finalmente. E non solo cercata
Picchiata
da uno col cuore
troppo secco
La paura
di confessarlo
Era giovane in fin dei conti.
La rabbia d’esser considerata
“frivola e volatile”
mentre entrambi
stavamo solamente provando
a vivere, tutto compreso.
Niente ombre nei suoi occhi
di sole, oltre la luna
vivo, dentro
ad uno scuro cerchio di fuoco.

Scendendo dai colli,
alla bettola del tabaccaio,
sotto la tettoia di lamiera
dei vecchietti battevano
carte ormai logore.
Sigarette finite
ed era chiusa.
Ce le hanno offerte
ho stappato
una bottiglia di vino
e perchè m’è venuto di farlo
non lo so
Tornavamo da un pranzo
sull’erba. Era rimasta...
Parlavano animati
come se naufraghi puntuali
a quell’appuntamento
fossimo attesi da tempo,
e noi con loro,
a chiedere
fino in fondo
anche l’istante,
insignificante.
Era improvvisazione...
chissà dove ci porterà
l’improvvisazione
Ricordi?
Altro che frivolezza.
Una sciocchezza...
l’imprevisto raccolto
in un istante vissuto
Il nostro miglior ricordo
Un giorno insieme
con il tuo passato il nostro presente
il tuo futuro e ancora,
sempre, presente.
Dopo aver cenato
non siamo stanchi
ma è tardi.
Si è divertita...
"Rimarrà questo nostro giorno.
Rimarrà per sempre...
e brillerà di luce viva
dentro me"...
Imprevisto
ritorna
così
il tuo saluto...
Felice testamento
in un giorno
come un altro

S’era confessata.
Era, come sentiva,
quella piccola donna
che sapeva guardarti
coraggiosa, forte,
orgogliosa, fragile
anch’essa, alle coccole
e fino a tarda sera
senza troppa paura
di far torto a chi l’amava
fin da bambina e poi
tanto bene non la conosceva.
La giudicava
E io non posso dire
d’averla conosciuta.
Il tempo insieme
non è stato poi tanto
eppure, in certi momenti
ho in testa tanti ricordi
di secondi arrangiati
solo nostri
Quanto un giorno insieme

Perchè parlo a te?
Pensieri che mi son venuti
con te
davanti a me.
Li ho scritti
e a qualcuno
dovevo offrirli
almeno.
Perchè non a te...
eri già lì.
Qualcuno che non vedrò mai
qualcuno che non esiste,
uno da qualche parte
ancora in me
Un’amica immaginaria
o qualcosa oltre...
Non esiste

martedì 11 marzo 2008

La gabbia

Caro Diario,
anche questa volta ho trovato un cortometraggio nel mio cervello che te lo voglio proprio raccontare. Questa mattina mi sono svegliato con la sensazione di essere un altro, di voler parlare con la bocca di un tizio che non conosco, ricordo appena sfumato il viso, forse l’ho incontrato per la prima volta la notte passata, in sogno, e perciò mi sento stanco, dentro, forse come lui, o forse solo perché non l’ho compreso esattamente, mentre mi diceva andando avanti e indietro, parlando tra sé, come se io non esistessi…”Manderei volentieri un fax a tutti i miei amici da quest'azienda del cazzo per avvisarli che sto chiudendo, sono stanco del nostro mondo… Stressato, come un elastico in mano ad un bambino. Penso traslocherò!… Bella, e dove!?…
Lontano. Non importa quanto mi costerà, sbaracco, liquido e salute a chi passa. Già! Un fax della mia azienda…E come lo mandi? La segretaria l'ha gettato dalla finestra, mentre eri rivolto con lo sguardo perduto appunto, oltre quella finestra, per un istante… scollegato dalle fatture organizzate in pila, per essere scartabellate domani mattina; dal sedere di tua moglie, che come ferma carte sopra il tavolo almeno pesa per qualcosa, dai suoi finti occhiali da intelletualoide di cartapesta; da quel piccolo innocente bastardo d'un cellulare mai sazio di attenzioni, che quando non chiama lui sei così in ansia che devi prenderlo in mano e cullarlo. Romanticismo di nuova generazione, o erotismo autoindotto, ma sempre roba per la nostra ' stra-new generation '. Stavo ad osservare i fumi della città tra il vuoto delle luci spente, e il sibilo, o forse il fischio, del silenzio lungo i corridoi. Era da poco arrivato l'ultimo campanello delle sette, che gli impiegati erano evacuati in massa nel parcheggio dietro la stazione. Due, forse tre secondi in solitudine, e il volto languido della crocerossina tuttofare, da dietro le mie spalle, si riflette sul vetro. Inarca un sorriso e poi…patapaaam…molla la presa delle labbra ed inizia a fustigarmi. In realtà stava solo caricando la balestra, altro che sorriso. Colto di sorpresa non l'ascolterò che verso la fine, al momento del fattaccio. Nel frattempo mi arriva quel suo solito profumato languore, ora però deformato da un inconfondibile stile sadomaso. E bla, bla, bla…ma come le agita il ventre, e le natiche, quel braccio esile buttato con tanta insistenza nella tua direzione. Minaccioso, o semplicemente carnoso? Dovrei sentirmi preoccupato? Dovrebbe fregarmene qualcosa ?… E ancora bla bla bla…perché? Perché non scaricarle addosso il ferma carte, le fatture, il cellulare dentro la scatola che è diventata questa fottuta azienda? Perché ti ci butteresti dentro, anche tu?…bla, bla, bla…E' innocente, lei! Si certo… Ma chi?… non ci credo, via! Aspetta e spolvera per meglio scivolarti vicino. Avanzare ‘on the top’. Tutti cercano il ‘top’, se tu vuoi rovesciarti di sotto, sei malato. Questo bailamme mi confonde…gettarmi addosso a lei? Non voglio perdere più nulla!…violentarla con la cricca di quell'ammasso di rancori, fratelli minori dell'odio, che ti sei calcato in gola da quando sei nato? Merita forse questo…che c'entra la poveretta?…voglio finalmente perdere tutto! Disintegrarmi a pochi metri dal cuore del sole…prima i vestiti, i capelli…infine l'anima. Basterà a pulirla? Aspetta, non essere avventato. Probabilmente nel casino non mi distinguerebbe dal tuo caro divano in pelle, o le faresti schifo come quel mozzicone spento. Sei un mozzicone spento! Non ti puoi nemmeno lasciar calpestare mentre vai a fuoco sul tappeto. Entrerei in lei, costretta ad inalarmi come umido fumo passivo. Odore di vecchio stantio.
Diceva press'a poco che avrei dovuto iniziare a pagarla da quel mese. Magari metterla in regola, farla emergere...emergere? Non l'ascoltavo...Cercava di fregarmi quella.
Deciso ad ignorarla, distraevo i pensieri fissando la città formicolante per l’ultimo frenetico spasmo della giornata. Il ritorno a casa. E' sera anche oggi... e quei fumi...il tramonto li rende ancora più belli e intensi. Il mio pensiero cade sempre più stanco. Ho voglia di lasciarlo rotolare, giù, giù, fin dove arriva. Lì sarà il mio posto. Prima o poi un fondo mi fermerà! Oppure no, fanculo, la melma scura che pompa nel mio cuore continuerà a spingere, e io con lei, a sudare, prodigo ai comandi, per non rallentare le attività umane. Pala in mano, a scardinare il miraggio del fondo, quella vecchia promessa di ogni dio. Già, forse. Fatto sta che quella non mira di centrarmi la nuca con il fax! L'ingrata! La pazza isterica! E io che volevo provarci. Sono ancora il capo, in fin dei conti…”