lunedì 25 febbraio 2008

Saluto di bambina

Il saluto
della città vecchia
sotto un lampione
alle due passate del mattino
disperde a passo lento
per aspettare l'ultima sigaretta
e non sentire addosso
la pioggia
poco meno sottile
che nebbia,
un crocchio scuro
di figure strette
in pensieri sfumati
ancora caldi
d'amicizia e amore,
come santini di peccatori,
immolati tra infernali
vapori di vino.
Ascolti una donna
che ha sorriso tutta la sera
confondere per te lacrime e pioggia
- Piango
come una bambina, piango
Accompagnata dal nulla...
So che ci sei ma non ci sono io
I miei sogni
la mia diversità
non ascoltate
non viste…
Nemmeno carità!
Soli…Solamente soli-
E sai…
Non servono a molto
le parole
Sai cosa intende
L'hai sempre saputo
E' tutto già dentro te
quel fiume ora tranquillo
così grosso
imponente
incontrollato
Sai dove muore
dov'è nato
cresciuto…con te
sopra ponti di creta
mentre scorre
languida
la solitudine nell'uomo.
E stanno per cedere…
Trema
Non serve
ma provi lo stesso
Vorresti essere ponte
almeno per lei
Accendere una luce
che le illumini un sorriso
Strappare gli occhi del mondo…
Hanno trascurato un'anima
e troppo a lungo
"Mi basta che tu sappia…
Sono lì con te
quando mi pensi.
Raccolgo una tua lacrima
sulla punta d’un dito
Per te sarà una in meno
e la donerai a me"
Sorride! Ma di nulla
Ti abbraccia
con il respiro
bagnato dalla pioggia
e il calore di un cuore forte
malgrado le maschere del giorno
Per l'ufficio gl’amici il tabaccaio
la cassiera al mercato
per chiedere un caffé
al bar sotto casa....
Poi improvviso
un saluto
e cade
"Dov'è la mia faccia?
Non so più chi sono...
Mi dici che vedi?
Guardami, per favore…
Mi vedi?
Perché non mi vedono?
Dove siete?"
Occhi come specchi
sono finiti
l'uno nell'altro
e non si trovano.
Ma nella sua mano ancora
stringi quella Disperata Cecità

che ha posto in mezzo
all'universo
due anime nude
che non cercavano
solo stelle...
Perdute
nei vicoli di una città
spenta scordando
pochi segni occulti
lungo la strada
per tornare a casa
questa sera.
E vecchia
addormentata
nel suo cuscino
di nebbia
come in un sogno
di fanciulla
rimanda oltre il fiume
sospiri avvolti nell'eco morbida
d’un capriccio voluttuoso
e disincantato...
Nessuno chiama
per amarla questa notte
Solo il tempo la desidera
e un campanile
che stanco batte le tre.
Il tuo unico rifugio acceso
è un panettiere unto
della saggezza
di chi non dorme mai
e che a quell'ora starà levando
pan dolce dal forno
Là porti un'amica
senza badare alla strada
diretta fin dove l'alba
arriverà e vi può attendere
E sarete stanchi in tre.
Per credere alla magia del silenzio
steso sulla sorte
eternamente compiuta
nella speranza di poter sempre
cambiare e ripartire
Abbracciati, così…
per non sapere
che altro s'abbia da pensare

Due del mattino

La mente
ancora vagabonda
cammina per i vicoli semibui
di questa periferia
raccogliendo voci ovattate
interrotte dall’interno
in bettole affacciate sulla strada.
Volti segnati
arrossati e grigi
dal bicchiere
dal fumo
Operai, forse...
Molti di loro sono stranieri
che aspettano
le ore
senza troppe domande
Bevendo le ultime speranze
dal sapore mai provato
di una giustizia uguale
La salvezza
di un’assoluta
biblica distruzione
che brucia fin dallo stomaco.
Altri, abbandonati moglie e figli
avranno scordato perché
sono arrivati fin quaggiù
in questa prigione
d’aria fetida
di sudore fritto
fumo e smog
Gomito a gomito con gente
mai conosciuta

E io scivolo via, lontano
senza perdere di vista nessuno di loro...
Oggi non ho fratelli
Sono come ieri, orfano senza casa
Parvenza di straniero
con nient’altro che una foto in tasca

sabato 23 febbraio 2008

Sognando di lei

Prima ti pensavo...
E mi chiedevo cosa volessi da me
di tanto urgente da spalancare
la porta dei miei pensieri
a mezz’ora dall’esame.
Sei rimasta in silenzio
seduta, gambe incrociate
carezzavi l’erba verde
piegando la testa di tanto in tanto
per scrutare un’impercettibile linea scura
Il contorno di un giorno non lontano
Io mi confondevo, abbagliato non vedevo
Laggiù, lentamente, scendeva il sole
e ti mostravi con quel sorriso
nascosto sotto una misteriosa
pudicizia dei capelli appena scesi
sul lato destro del tuo viso
Fragile e vissuto inconfondibile
sorriso che è tuo.
Forse per rassicurami
sciogliere nel calore di un sentimento
il timore che mi tratteneva
dal confessare a me stesso
che ad andare dovevo essere solo io.
Ti lascio dove sei queste parole
che abbracciarti non posso davvero,
miraggio di nuvola controluce
Mi manchi...e il mio pianto è sincero.
Quel che conta mi sono detto
è che i sogni s’avverino presto
e non si sveglino padroni un mattino
mentre io indugio sul mio pur comodo letto

martedì 19 febbraio 2008

Beniamino Cazzugli part 1

Un’anticaglia di stoffa sessantottina, che chiamavano divano, esala per lui ricordi come la madre che non hai mai avuto. Cade nel suo ventre, pernacchioso nemmeno tanto, e se lo abbraccia tiepido uno sbuffo sonoro, mentre spiffera alla sua immaginazione ossidata vecchie storie di lotte politiche, bat- taglie per diritti minimi, e le riunioni, e le botte anche per niente. Un “Puff!” flatulento che forse farebbe non arrossire, ma quanto meno sorgere un dubbio dietro uno sguardo accigliato di un ospite alla prima volta…Insomma qualcosa che di certo non spiega un serio problema intestinale, ma lo lascerebbe supporre, alza il sipario sulle scene che -ahimè!- lui, giovane com’è, odora soltanto. A volte una mente abbandonata troppo a se stessa gioca brutti scherzi, è vero, ma la passione che cinquant’anni prima gonfiava cuori e polmoni di quelli come lui fino a scoppiare per mandare in scena ‘Il Cambiamento’, lui la respira davvero, e meglio che a leggerla in un romanzo, comodo e sognante sopra un divano di stoffa tappezzata di fiori e pelle colorata di un arcobaleno sbiadito. Singolare è che a lui, forse, gli par anche una scelta attiva. Come di premere sull’acceleratore, occhi chiusi, avanti, consapevole del rischio di uno scontro frontale contro i testardi che non comprendo- no che ad esser compagni si sta giusti nel solco dell’evoluzione. Come se le ipocrisie nei gangli arrugginiti del sistema le stesse affrontando seppur in minoranza e già sconfitto. Perchè era vero, associarsi ad un movimento come assumersi parte delle responsabilità degli avvenimenti che si preparano, diventarne creatori diretti. Unirsi, disciplinarsi per compiere un gesto d’indipendenza e liberazione, eccetera... La rabbia per chi resta. A casa. A studiare nel salone con i fiori centrotavola imparando a non odiare troppo le fatiche ataviche, ottuse, di mamma e papà, battute a martello sulla capocchia perché un lavoro sicuro nella vita è quel che ci vuole ed è proprio quel che conta. Così, adesso, anche un divano può divenire sudicio al punto giusto. Uno scrigno d’odori perduti tra le pagine di un diario che qualcun altro ha scritto.

Oggi è un giorno come ieri, inutile; e che a lui par d’aver vissuto fin da quando di muri da sventrare s’è convinto d’averne incontrati abbastanza. Niente più trama, niente più azione. Spalmato su quel divano di stoffa che ormai sbuffa solo un profumo acre di pastore tedesco fradicio, paglia ammuffita, vino rancido e solfato di rame, subito l’inghiotte una confortante aria fetale in un ricordo di cantina; sogna sbracciato, un po’ sindacalista circondato da contadini e operai all’osteria, segretamente rannicchiato, nel fondo del cuore, un po’ massone. Trascinatore sempre brillante, convincente sopra la massa rapita in milioni di parole che la incendiano...nella veranda di una casa limone che porta sul retro occupato, quasi per intero, da una certa folla sottile, a tratti agitata, di steli d’erba piegati dalla noia d’esser troppo cresciuti. Lì, per lui... A voi, l’ovvia impressione sarà d’un tetto che spiove una o due braccia sopra un divano pezzato da cinquant’anni vissuti altrove, all’estremo e ora, pensionato, al limitare d’un fitto muro verde d’erba gramigna e sorvegliato a vista dalla vecchia di fronte; ma invero, la fascia spazio temporale più desolata che Beniamino Cazzugli, docente di qualcosa in una facoltà di scienze politiche in qualcheddove, prossimo pure lui alla quarantina riesca a concedersi per pensare a quel che dice, e forse domani, dirà, è tutta compresa in quei metri stretti in un 3x2. Il frangente è una vita che ha smesso di scorrere. In questi casi, da noi si usa dire che uno non sa decisamente che cazzo afferrare. Eppure convinto, tre ore prima appena, prima di ritornare feto dentro un utero sepolto in cantina introduceva così le sue matricole al corso che iniziava << style=""> crisi... -Capite?- dice rivolto alla massa verde protesa verso il sofà; e migliaia di esili braccia si flettono al suo respiro -Una volta si sarebbero incazzati anche per l’esempio della pianticella...il sistema che pretendeva d’annacquargli il cervello con le solite favolette...mentre questi quando s’incazzano? magari vedono una foto di sangue, un bambino in lacrime, scendono in piazza certo, due passi e poi? Orgasmi senza nemmeno i preliminari! Lo studio, l’ascolto, lo scambio. Eccitazione da allarme rosso e vengono all’istante per la sigaretta dei soddisfatti...Scusate, ma di cosa? Del sistema che li osserva dalla finestra ai piani alti? Di essersi distinti per un nanosecondo da quel sistema che nutre anche loro?- Cessa il vento; dalla platea filiforme solo un lieve brusio d’attesa immobile –Ci siamo perduti il libretto delle istruzioni e nel passaparola generazionale il giocattolo s’è inceppato, ecco!... Troppo semplice dite? Beh, quando tento di spiegare che sarà loro responsabilità mandare avanti il sistema di tutta la baracca, infallibile come un cecchino uno delle file dietro alza la mano per avvisarmi che il sistema fa schifo...Bene! dico io. Allora toccherà a voi aggiustare il sistema –Ma è sporco, corrotto, noioso-, e che!?! Il meccanico forse si lamenta per del grasso sulle mani, o qualcuno osa dargli del corrotto se si unge per un motore rotto? Fa parte del lavoro, no?- E si spegne collassato. E’ sera, e la folla verde d’eccitazione resiste, è gramigna, e s’accampa per il prossimo discorso. Il momento della festa arriva, annunciato dal grillo, che alla prima luna prende a cantare.

venerdì 15 febbraio 2008

Il tabernacolo

Un pomeriggio sul far del tramonto d’un estate che gl'ha tolto il fiato nel incessante adoperarsi per soddisfare una promessa di mille e succosi baci al giorno, quasi in lacrime, distesa sopra teneri fiori di campo, si mise a spiegargli che lei l'aveva fatto, ma solo quando, sicura sicura “something strong” carezzava felicemente in grembo. Infallibilmente una lacrima la segnava delusa in volto e lui si rivelava quel tipo che sfrutta le donnine graziose in cerca di un po’ di sesso e tanto amore.
Ma Frank è tutt'altro, ed è come lei. E l'hanno fatto. Lei l'ha chiesto perché lei si sentiva pronta. Non vi sto a dire quanto Frank fosse preparato, ciò che conta è che in quel momento, e proprio in quell’istante, l'aveva sentita sua per la prima volta. Si era concessa tutta e lasciava d’intendere una cosa sola. Quella donna voleva lui, e lo voleva molto. La sua sicurezza mistificava l’incondizionata fiducia nei sentimenti che ricambiava con lei, e allora...? What’s the matter?
Poi una sera esce diversa portando con sé, tra quelle stesse labbra dell’ultimo giurato amplesso d’anima e corpo, amare parole d’un più ruvido amore - Che hai?-, le chiese perplesso dal suo ostinato silenzio - Nulla!...- come ovvio traspariva nel suo broncio muto -Guarda che non ti riporto a casa e ti tengo con me se non vuoti il sacco!-, insistette lui bussando un po’seccato - Meglio...Anzi, bello!...- lei, per ritornare ai sottotitoli che scorrevano nel cervello confuso di Frank sempre troppo veloci per afferrare un verosimile plot della situazione...”Quasi quasi mi arrendo!”, si disse. Insomma, perchè prendersela con lui per questo? Alcune donne son fatte per non esser capite fin dove vorresti, immerse come appaiono nel mistero del loro sacro tabernacolo vaginale. Questioni di fede, suppongo...
-Preferisci che invece ti riporti a casa tua adesso?...- Lunga pausa, interminabile pausa, riprende con dei preoccupanti occhi rossi che hanno smesso il lieve sorriso appena ritrovato…-Tra noi non potrà mai essere una cosa seria....- E s’alza un vento da sud...Tra loro, ora, rotola un covone di fieno che nel buio scompare, mai esistito -...sei troppo basso!- ...giù la testa, Bum! Imperversa un vento di sabbia finissima. Un lupo in fondo al viale abbaia ansioso ai rami e alle foglie che stanno per agguantarlo. Lo sguardo di Frank segue spalancato un altro covone...poi ancora su di lei, disarmato, per l’ultimo duello al cessar del Trillo. - Ma se l'abbiamo fatto solo perché eri convinta che fosse, una cosa seria!- Ancora Bum!... -Possiamo continuare così, mi piace quello che facciamo, però questa è la verità- ...Voragine di sangue allo stomaco...giuro, altro Bum Bum!
- Tanta verità mi ha letteralmente strappato mutande e poche altre parole da titoli di coda. Sai, quelle che scorrono via in fretta per l’inatteso, “The end”-
Detto questo, butta giù l'ultimo dito di birra e se ne torna a casa mezzo ubriaco, danzando barcollante e leggero, come alla prima volta su un tappeto volante. Hankcok Frank s'era raccontato.