martedì 19 febbraio 2008

Beniamino Cazzugli part 1

Un’anticaglia di stoffa sessantottina, che chiamavano divano, esala per lui ricordi come la madre che non hai mai avuto. Cade nel suo ventre, pernacchioso nemmeno tanto, e se lo abbraccia tiepido uno sbuffo sonoro, mentre spiffera alla sua immaginazione ossidata vecchie storie di lotte politiche, bat- taglie per diritti minimi, e le riunioni, e le botte anche per niente. Un “Puff!” flatulento che forse farebbe non arrossire, ma quanto meno sorgere un dubbio dietro uno sguardo accigliato di un ospite alla prima volta…Insomma qualcosa che di certo non spiega un serio problema intestinale, ma lo lascerebbe supporre, alza il sipario sulle scene che -ahimè!- lui, giovane com’è, odora soltanto. A volte una mente abbandonata troppo a se stessa gioca brutti scherzi, è vero, ma la passione che cinquant’anni prima gonfiava cuori e polmoni di quelli come lui fino a scoppiare per mandare in scena ‘Il Cambiamento’, lui la respira davvero, e meglio che a leggerla in un romanzo, comodo e sognante sopra un divano di stoffa tappezzata di fiori e pelle colorata di un arcobaleno sbiadito. Singolare è che a lui, forse, gli par anche una scelta attiva. Come di premere sull’acceleratore, occhi chiusi, avanti, consapevole del rischio di uno scontro frontale contro i testardi che non comprendo- no che ad esser compagni si sta giusti nel solco dell’evoluzione. Come se le ipocrisie nei gangli arrugginiti del sistema le stesse affrontando seppur in minoranza e già sconfitto. Perchè era vero, associarsi ad un movimento come assumersi parte delle responsabilità degli avvenimenti che si preparano, diventarne creatori diretti. Unirsi, disciplinarsi per compiere un gesto d’indipendenza e liberazione, eccetera... La rabbia per chi resta. A casa. A studiare nel salone con i fiori centrotavola imparando a non odiare troppo le fatiche ataviche, ottuse, di mamma e papà, battute a martello sulla capocchia perché un lavoro sicuro nella vita è quel che ci vuole ed è proprio quel che conta. Così, adesso, anche un divano può divenire sudicio al punto giusto. Uno scrigno d’odori perduti tra le pagine di un diario che qualcun altro ha scritto.

Oggi è un giorno come ieri, inutile; e che a lui par d’aver vissuto fin da quando di muri da sventrare s’è convinto d’averne incontrati abbastanza. Niente più trama, niente più azione. Spalmato su quel divano di stoffa che ormai sbuffa solo un profumo acre di pastore tedesco fradicio, paglia ammuffita, vino rancido e solfato di rame, subito l’inghiotte una confortante aria fetale in un ricordo di cantina; sogna sbracciato, un po’ sindacalista circondato da contadini e operai all’osteria, segretamente rannicchiato, nel fondo del cuore, un po’ massone. Trascinatore sempre brillante, convincente sopra la massa rapita in milioni di parole che la incendiano...nella veranda di una casa limone che porta sul retro occupato, quasi per intero, da una certa folla sottile, a tratti agitata, di steli d’erba piegati dalla noia d’esser troppo cresciuti. Lì, per lui... A voi, l’ovvia impressione sarà d’un tetto che spiove una o due braccia sopra un divano pezzato da cinquant’anni vissuti altrove, all’estremo e ora, pensionato, al limitare d’un fitto muro verde d’erba gramigna e sorvegliato a vista dalla vecchia di fronte; ma invero, la fascia spazio temporale più desolata che Beniamino Cazzugli, docente di qualcosa in una facoltà di scienze politiche in qualcheddove, prossimo pure lui alla quarantina riesca a concedersi per pensare a quel che dice, e forse domani, dirà, è tutta compresa in quei metri stretti in un 3x2. Il frangente è una vita che ha smesso di scorrere. In questi casi, da noi si usa dire che uno non sa decisamente che cazzo afferrare. Eppure convinto, tre ore prima appena, prima di ritornare feto dentro un utero sepolto in cantina introduceva così le sue matricole al corso che iniziava << style=""> crisi... -Capite?- dice rivolto alla massa verde protesa verso il sofà; e migliaia di esili braccia si flettono al suo respiro -Una volta si sarebbero incazzati anche per l’esempio della pianticella...il sistema che pretendeva d’annacquargli il cervello con le solite favolette...mentre questi quando s’incazzano? magari vedono una foto di sangue, un bambino in lacrime, scendono in piazza certo, due passi e poi? Orgasmi senza nemmeno i preliminari! Lo studio, l’ascolto, lo scambio. Eccitazione da allarme rosso e vengono all’istante per la sigaretta dei soddisfatti...Scusate, ma di cosa? Del sistema che li osserva dalla finestra ai piani alti? Di essersi distinti per un nanosecondo da quel sistema che nutre anche loro?- Cessa il vento; dalla platea filiforme solo un lieve brusio d’attesa immobile –Ci siamo perduti il libretto delle istruzioni e nel passaparola generazionale il giocattolo s’è inceppato, ecco!... Troppo semplice dite? Beh, quando tento di spiegare che sarà loro responsabilità mandare avanti il sistema di tutta la baracca, infallibile come un cecchino uno delle file dietro alza la mano per avvisarmi che il sistema fa schifo...Bene! dico io. Allora toccherà a voi aggiustare il sistema –Ma è sporco, corrotto, noioso-, e che!?! Il meccanico forse si lamenta per del grasso sulle mani, o qualcuno osa dargli del corrotto se si unge per un motore rotto? Fa parte del lavoro, no?- E si spegne collassato. E’ sera, e la folla verde d’eccitazione resiste, è gramigna, e s’accampa per il prossimo discorso. Il momento della festa arriva, annunciato dal grillo, che alla prima luna prende a cantare.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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