giovedì 10 gennaio 2008

La faccia di Babbo Natale

Caro Diario,
se sei da queste parti fermati un po’ con me! Scaldiamoci un po' insieme e fammi sentire più forte che va tutto bene, che là fuori non è poi quel gran casino che sembra e qua dentro qualcosa è cambiato. Perché non sono quello dell’ultima volta. Perché il mio cuore adesso è una strada di periferia dopo la pioggia, e anche quando bacia non sempre chiude gli occhi. I sentimenti ovviamente non c'entrano, conosci loro, e conosci lui: è fatto così, deve vedere, capire, confondersi e raccontarti tutte le verità a cui a stento riesce ad aggrapparsi. Si rifiuta di credere seriamente alla vita, correre il rischio di non stupirsi una volta ancora o peggio che, chiusi gli occhi, si farà l'ordine dovuto al soldato meritevole di piangere sulla propria tomba. Dicono: "Meno male che ci sono i soldati!", quelli che ogni mattina prendono a spingere la carretta fino anche a sprofondare nel fango... Sai, lo penso anch'io che siano una sorta di eroi, ma osserva quell'uomo laggiù con la giacca imbottita di piume e polvere di cantiere; quello da cento chili almeno che non vede le vetrine, tiene la strada tutta nei suoi pensieri. Si toglie un cappello di lana per dieci ore stretto fin al collo. Cerca l’aria, adesso... Rosso in viso, l’ha bruciato un sole freddo che ora, spento e così lontano, in staffetta con le migliaia di luci stese nei soliti disegni natalizi volanti sulla strada, gela fino a scoppiargli nelle vene quelle poche lacrime che non hanno mai osato ammorbidire il suo volto prima d’allora. Pochi passi ancora e due marmocchi, una moglie incinta, gli saranno intorno per spogliarlo anche di questa giornata assurda, come ogni sera, da Agosto. Da quando sciogliere i bottoni è diventato via via sempre più faticoso, lungo, meccanico, una parola vuota. Perché la bella stagione se n’è andata e ne servono tanti di bottoni se porti vestiti scadenti. E perché da allora sopporta d’aspettare l’ultima paga e non gl’è rimasta più nemmeno una parola da spendere, una giustificazione da sbottonare sull’istante. 'Il prossimo mese andrà meglio...', giurava inginocchiato alla pancia di sua moglie. Lo stesso, in banca, pochi minuti fa, sul ventre gonfio del direttore, e senza mai essersi calato una volta i pantaloni al cospetto di quegli occhietti avidi, ingentiliti appena da due lenti esageratamente spesse, dietro le quali ti scrutano socchiusi, e protetti, quasi a metterti in guardia che di lì non si passa. E intanto lui rischia la casa; l’altro solo l’immacolata concezione di un discreto affare!
Era estate quando tutto è cominciato e pareva anche tollerabile. Passerà in fretta, si diceva. E poi le giornate son così lunghe che gli restano due ore buone, la sera dopo il turno, per toccare con mano la terra di quei due campi di fronte casa, mescolati con lo stesso sangue di tre, forse quattro generazioni. Due campi rendono meno di un 'future', ma almeno si evita di comprare la verdura con quel che costa. Un po’ dimenticare, molto lavorare, ma è contento e perché no, sazio. E’ roba sua che non gliela porta via nessuno. Ci vede ancora suo padre sotto quell’albero, a far merenda con due, tre avventori: pane, formaggio, salame e un fiasco di cabernet. Nulla per cui servisse varcare la soglia di un supermercato. Vien tutto da là dietro. Dalla stalla. Dal camino… Un sguardo intorno e lo prende sempre con un brivido quel suo piccolo orizzonte che sconfina dietro l’albero, verso il sole, come un ponte piantato ai suoi piedi e fino a dove lui non hai mai potuto, o mai voluto sapere. Importa soltanto che il tempo è scorso e arriverà anche dopo di lui, ai suoi figli. Si chiama speranza e funziona a meraviglia, meglio di qualsiasi stupefacente se solo sai un po’sognare. Però, oggi, anche il tempo s’è arrestato schiacciato sotto le macerie del suo stesso ponte. Nascosto dietro il fumo delle parole chiave di una congiuntura storica ancora una volta sfavorevole a quelli come lui: "Ci dispiace signore, ma non è colpa nostra. Non dipende da noi. La banca non può aspettare oltre quella data"... e lo sfiora il dubbio d’aver sbagliato tutto. Liquidare i fratelli che non hanno voluto sentir storie, ma solo tutto e subito. Sistemare la casa che marciva da cent’anni. Ma che altro poteva fare? Con un lavoro a tempo indeterminato...E la famiglia, dove l’avrebbe piantata? Eh, perché una famiglia si pianta ancora, da queste parti! Per la prima volta ha una paura che gli verrebbe da strapparsi anche i vestiti per provare a levarsela di dosso. Ma ormai è lì, cristallina, come il freddo che spira dal buio del campo; viva, come i pochi fari che si scorgono appena sulla statale che taglia l’ignoto scuro e profondo, laggiù. E se oggi poteva andare peggio, la sorte, di certo, non s’è tirata indietro, fino a procurargli una vergogna tale di se stesso e un rancore in gola da bloccarlo sull’uscio di casa... - Guardalo bene, Caro Diario!- Come non bastasse è lì che si fruga la testa se trova un faccia accttabile e un certo coraggio per guardare i loro volti. Devi sapere che in fabbrica era corsa una voce degna di fondo sui padroni, perché così si chiamano nel nordest, "Paroni", che ogni mese avrebbero intascato comunque la loro ingorda fetta. Sei, sette e più, quanti sono diventati, i padroni? Se conti i figli, vedi la filiera di pidocchi appesi al ramo che tra poco tocca terra. Pare strano, ma non smettono mai d’ingrassare, mah!…e mentre l’albero lentamente muore, un piccolo albero perché qui si lavora in pochi ma buoni, agli Stracci di tute blu con famiglia solo la polvere o trucioli di ferro. Così s’era levato un malessere borbottante, perché il pauroso si provava a frenare il compagno di indole votata alla rivoluzione dopo anni incerti di fiducia offerta al destino, a dir il vero un po' sovrappensiero, e caparbiamente sbeffeggiata da una femmina che, le mancasse quel tono da diva in copertina, si crederebbe pure una signora per via del nome altisonante: "Economia Globale". E a mezzodì montava il consenso sull'idea di uno sciopero duro e casereccio, ma nulla si sarebbe fermato prima che qualcuno arginasse Gino, il vecchio anarchico prossimo alla pensione risoluto sul momento a far saltare qualche testa. In fin dei conti un re francese lo tolsero di mezzo così e per gli stessi motivi, no? - Ma va là, ma va là! Teston! Te si un pare de fameija, no sta far el mato! No sta far el mato, par piaser! E po’ ze cambià i tempi! Parlemoghene, no?! El sindacato...’ - No, dai! Assa star i commercialisti, dai!... - E una rivoluzione abortita... - Ah! Ma va in mona ti e tutti quei come ti, bestia!- richiede almeno che qualcuno venga mandato a quel paese. Sacrosanto! - Hai sentito cos’ha detto a Nino quello sbarbatello sceso dagli uffici di sopra, se scioperiamo?- parla quello forbito. - Che no semo niente! No ze afari nostri e se no me va ben cussì, fora da e bae! Fo-ra-da-e-ba-e!- sempre quello forbito, ma per incidere profondo... - A mi!... Dopo tuti sti ani qua dentro, sto capanon, a conzelar col fredo e cuzinar col caldo...- e ad un anno dalla pensione.
"Fora da e bae!" scaraventato in faccia a Nino il sobillatore di anime e capre, il mezzo sindacalista, o sindacalista pieno, ma rimasto un secolo indietro. Dove quelli che la causa non è un lavoro come un altro, o soltanto quello, lottano per una sopravvivenza degna di un uomo. E s’è perso...Abbassando il capo, le gambe che non tremano…figurarsi, le sue! Però le mani, quelle sì. E strette a pugno le costringe a fermare la testa che scoppia, un attimo prima di perderne il controllo. Prima che arrivi la pazzia che rovinerebbe molte vite. Poi il silenzio. La marcia ingloriosa della vergogna che affiora dal fondo dell’impotenza più sporca, bituminosa…se n’è andato senza neppure a sbattere una porta.

I tempi cambiano... I ponti crollano. Babbo Natale arriva sempre. Le lucine per le strade aumentano. I negozi si riempiono di favole e il nord est è sempre il solito stretto campo di 'mezzadri', tanti, e padroni, in lieve aumento demografico. I vestiti non nascondono niente.

Ora che sei qui, caro Diario, aiutami a capire se i tempi sono davvero cambiati, fammi sentire perché anche quello è un uomo, ancora lì, una mano sulla porta di casa che un cane ansimante già fiuta dall’interno, mentre delle voci squillano in corsa verso di lui: "Ciao Ninoo!"

E Nino ha paura

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